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Atletica sotto shock: deferiti per doping 26 italiani

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la procura antidoping chiede 2 anni di squalifica

Atletica sotto shock: deferiti per doping 26 italiani

Olimpia tradisce Olimpia. Dalle carte dell’operazione “Olimpia”, avviata un anno fa dalla Procura della Repubblica di Bolzano, emergono, anche grazie al lavoro certosino della Procura Antidoping della Nado Italia, i nomi di 26 atleti per i quali si chiede la squalifica di due anni per elusione di controlli. E Rio, l’Olimpiade vicina, o lontana a seconda dello sguardo, 246 giorni, potrebbe per loro diventare un miraggio. Nell’elenco ci sono il triplista Fabrizio Donato e il velocista Simone Collio, il velocista e saltatore in lungo Andrew Howe e il triplista Daniele Greco fino al maratoneta Daniele Meucci e il saltatore con l’asta Giuseppe Gibilisco.

Per l’atletica italiana una notte buia e piena di tanto freddo, ma anche - è l’auspicio di chi ama lo sport per lo sport - un momento di svolta.

Tutto inizia nel 2014: la fase inquirente prende avvio il 30 luglio e fa riferimento a un periodo compreso tra il primo trimestre 2011 e il secondo 2012. È l’operazione Olimpia, condotta dai Nas-Ros dei carabinieri di Trento, su mandato della Procura di Bolzano. In quelle 500 pagine ci sono 65 azzurri che non avrebbero rispettato le regole sulla comunicazione di spostamento, comunicazione necessaria per dare modo ai controlli antidoping di essere svolti.

Quelle carte arrivano a Roma, dove inizia il lavoro della Procura Antidoping del Coni, guidata da Tammaro Maiello. Sono stati ascoltati i 65 atleti, sono state lette un milione di mail. Per 39 atleti, fra i quali Antonietta Di Martino e Alex Schwazer, la Procura chiede l’archiviazione, mentre per gli altri 26 chiede due anni di squalifica per eluso controllo. Per questi atleti la Procura sostiene che la mancata reperibilità (articolo 2.4 del codice Wada, l’Agenzia mondiale antidoping) era voluta elusione del controllo (articolo 2.3) . E quindi, in base alle norme dell’antidoping mondiale, da punire con due anni di squalifica. Così, probabilmente a gennaio, ci sarà il processo e davanti al Tribunale antidoping del Coni si arriverà a giudizio e questi atleti (al momento non sono sospesi, lo si è solo in caso di positività) rischiano di non partecipare a Rio2016. Ma la Federazione atletica dov’era, vigilava? Non è mancata la reazione del presidente Alfio Giomi: «La somma di negligenze, superficialità, incompetenza, inadeguatezza è senza fine. La vicenda riguarda tutto (o quasi) lo sport italiano, non solo l’atletica, senza che questo sposti la nostra responsabilità. Scaricare solo sugli atleti la responsabilità di quanto accaduto (non si tratta di atleti dopati) è troppo semplice. L’atleta è il punto di partenza e arrivo del movimento, ma in mezzo ci sono tecnici, società, federazione, Coni».

Potrebbe essere una svolta per il movimento e per chi segue gare e risultati ma spesso - Russia docet - a distanza di tempo ha dalla giustizia la certezza che corse, salti e record sono di plastica, ormoni e chimica.

In futuro una situazione simile non si ripeterà. O meglio si potrà ripetere - perché l’imbroglio è insito nell’animo umano - ma tutto si saprà subito. Grazie alla tecnologia. Il Whereabout, il documento con il quale gli atleti comunicano i loro spostamenti, fino a tutto il 2014 in Italia è stato cartaceo perché il Garante della Privacy riteneva che il sistema telematico Adams, quello adottato a livello globale dalla Wada, non avesse le garanzie per la privacy. Così è stato fino al 2014 e oggi Silvia Salis sul Whereabout punta il dito: «Non vengo accusata di doping ma di problemi di ricezione della reperibilità per il sistema Whereabout. In 15 anni di carriera mi sono sempre battuta contro il doping e prendo parte a campagne di sensibilizzazione tra i giovani. L’unica cosa che mi sento di dire è che il sistema aveva falle tecniche». Ma dal 1° gennaio 2015, soprattutto grazie a una battaglia del presidente del Coni, Giovanni Malagò, anche in Italia si usa il Whereabout digitale, ciò significa che, giorno per giorno, ci possono essere controlli sistematici e, dopo tre Whereabout “saltati” con relativa contestazione (il Whereabout è un reato sportivo a formazione progressiva), si arriva a processo e a sentenza. Una piccola, buona notizia in una giornata buia che più buia non si può.

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