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L’economia «divorata» dalla finanza speculativa

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L’economia «divorata» dalla finanza speculativa

Grazie al sistema messo in piedi negli ultimi venti anni dalla tecnologia, dalla deregolamentazione e dalla globalizzazione dei mercati, una crisi locale come quella dei subprime americani ha potuto innescare un effetto domino propagatosi in tutto il mondo alla velocità della luce, e si è trasformata in una crisi finanziaria sistemica globale.

In questo contagio da ebola sono pesanti le responsabilità delle banche, che offrivano ai clienti merci scadute o scadenti (i famosi derivati), la cecità colpevole degli organi di vigilanza, la complicità delle agenzie di rating e la folle leva bancaria che alimentava ogni tipo di speculazione, a cominciare da quella immobiliare figlia di una politica monetaria espansiva attuata dalla banca centrale americana. La deregolamentazione iniziata a metà degli anni ottanta nel mondo angloamericano (Thatcher e Reagan “regnanti”) ha rapidamente contagiato l’intero mondo occidentale e le economie più avanzate, attivando ovunque una mutazione genetica della finanza. La finanza si è trasformata in una vera e propria industria, il cui “manufatto” finale sono più quattrini inseriti nei prodotti finanziari, figli della ingegnerizzazione innovativa e della cultura dell’imbroglio. Questi nuovi prodotti hanno invaso l’intero Occidente e anche parte dell’Oriente, creando una sorta di nuova moneta virtuale, il cui valore complessivo viene stimato nove volte il Pil mondiale.

Sia chiaro che l’innovazione finanziaria senza abusi e dentro regole ben definite, con controlli penetranti, può avere effetti positivi offrendo possibilità alle imprese di tutelarsi dai rischi e di creare liquidità necessaria per il proprio “core business”.

(...)La mutazione genetica ha sottratto risorse all’economia reale innescando, dal 2007 in poi, una crisi recessiva globale durata otto anni, la cui coda fa ancora sentire i suoi effetti in Italia e in Europa e fa intravedere un orizzonte di bassa crescita e di disuguaglianze sociali crescenti. L’enorme massa di liquidità che gira per il mondo va in cerca della più profittevole allocazione, nel più breve tempo possibile. Intorno a lei si agitano quattro categorie di protagonisti: le migliaia di fondi di investimento di ogni tipo; il sistema bancario, nel quale è scomparsa la saggia divisione tra banche d’affari e banche commerciali; le agenzie di rating; i singoli finanzieri e lo stesso mondo industriale che, per far quadrare i conti o garantirsi guadagni maggiori, aggiungono al proprio core business manifatturiero crescenti attività finanziarie. Tra il 2010 e il 2013 le grandi multinazionali americane, europee e giapponesi hanno investito in attività finanziaria 1,5 volte ciò che hanno investito sul terreno industriale. Tutto ciò accade per tanti motivi, il primo dei quali è il privilegio normativo e fiscale concesso agli impieghi finanziari del capitale. Se l’impiego finanziario ha meno intralci burocratici e regolamentari, e implica meno tasse rispetto agli utili industriali o alla rendita immobiliare, è chiaro che l’industria finanziaria attrarrà capitali sempre maggiori rispetto all’investimento immobiliare e alla produzione di beni e servizi. È quest’ultima, tuttavia, a permettere la diffusione del benessere, perché i quattrini non sono commestibili né sono beni durevoli utili alle attività umane. Certo, i quattrini servono per comprare beni e servizi, ma devono essere diffusi nelle popolazioni. Quando, invece, la ricchezza è fortemente concentrata, la domanda aggregata cala o stenta ad aumentare; l’industria riduce la propria offerta, l’occupazione diminuisce e così il reddito di milioni di famiglie: si innesca un circuito perverso tra ricchezza e povertà. E la povertà aumenta. Più la ricchezza è concentrata più la produzione langue e la povertà aumenta.

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