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Il successo della Le Pen e l’Europa della paura

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l’unione in pezzi

Il successo della Le Pen e l’Europa della paura

E adesso, povera Europa?

Sorprende che sorprenda la vittoria di Marine le Pen in Francia: un trionfo personale con oltre il 40% dei suffragi, 6 regioni su 13 conquistate al primo turno, il Front Nazional quasi al 30% , il primo partito del paese.

Il risultato viene da lontano, non dagli attentati del 13 novembre. In qualche modo era scritto nel Dna della democrazia francese dopo il 25% dell’anno scorso alle europee e l’affermazione alle municipali. Soprattutto dopo che la rifondazione del Fn per farne un partito di destra normale era stata salutata con distratta sufficienza dai partiti tradizionali, socialista e repubblicano, regolarmente sconfitti.

Resta che la vittoria di Marine Le Pen ha una portata storica e una forza d’urto psicologica paragonabile alla caduta del Muro di Berlino nel 1989, perché segna a sua volta il crollo dell’ultimo tabù culturale della politica europea del dopoguerra. Metabolizzato da tempo e dovunque il fattore K, come comunismo, alla fine è venuto il turno anche del fattore F, come fascismo. Però il lepenismo, che sembra in grado di travolgere gli avversari, dice di più e altro in casa e in Europa.

Scegliendo di votare l’invotabile, la maggioranza dei francesi assomiglia a quella dei turchi che si sente più rassicurata dall’Akp di Tayyip Erdogan, vota per reislamizzarsi e recuperare la vecchia identità affossando Ataturk, Stato laico e libertà fondamentali. Stufa della sinistra che, per vincere le elezioni, da anni ha seppellito la propria identità per diventare destra. E diffidente di Nicolas Sarkozy che si fa anche lepenista pur di cannibalizzare i voti della sua concorrente.

Il voto di domenica in Francia, in realtà, ha celebrato una volta di più la crisi, apparentemente irreversibile, della liberal-democrazia europea transustanziata nei partiti tradizionali protagonisti del dopoguerra, rivelatisi ovunque incapaci di cogliere le ansie più profonde di società disorientate dalla fine dell’ordine di Yalta prima, poi dalla rapida europeizzazione del continente sotto l’egida Ue e infine dalla globalizzazione socio-economica del mondo e contraccolpi nazionali che ne sono seguiti.

Nessuna risposta convincente, infatti, alle nuove insicurezze socio-economiche, tra crescita smorta e lavoro in picchiata. Nessuna risposta credibile all’ondata migratoria che cambia gli equilibri delle società alimentando crescenti inquietudini nei cittadini abbandonati a se stessi. Nessuna strategia coerente nella lotta al terrorismo e ai propri figli terroristi. Tra buonismo d’ufficio e multiculturalismo incerto e pasticciato, tra rigore di bilancio vero e vane chiacchiere sullo sviluppo, i vecchi equilibri politici sono saltati. Nuove forze anti-sistema, nazionaliste e radicali, di destra e di sinistra, scuotono le democrazie dove la gente cerca alternative, uomini e politiche nuove per governare in modo più efficace il cambiamento che cambia tutto ponendo fine al sistema consolidato che ama vivacchiare traccheggiando.

Con la sinistra che si è suicidata volendo essere destra, la mappa politica dell’Europa è diventata a poco a poco uno grande monocolore dove i socialisti, decimati, arrancano sempre più a fatica. Le Pen vince in Francia dopo Victor Orban in Ungheria, Jaroslaw Kaczynski in Polonia e una miriade di altri grandi e piccoli partiti conservatori. Dopo Alexis Tsipras in Grecia e Antonio Costa in Portogallo, alcuni dei rari rivoltosi di segno opposto.

Quasi tutti hanno in comune la soluzione nazionalista e anti-europea, più o meno esasperata. Di sicuro Marine Le Pen è la più netta: niente euro, niente Schengen, niente Europa, niente Islam, basta con l’economia liberale, meglio dirigismo economico e protezionismo industriale. Inutile dire che il suo programma darebbe un colpo mortale all’Europa se la leader dell’Fn dovesse vincere anche le presidenziali francesi nel 2017. Perché la Francia non è un paese come gli altri ma il grande motore o il clamoroso freno dell’integrazione europea: bocciò il progetto di Eurodifesa nel 1954, e mezzo secolo dopo fece lo stesso con la Costituzione. Né l’uno né l’altra sono mai più risorti. Per la Germania in difficoltà, scossa da inedite pulsioni anti-euro e anti-immigrati, la perdita della tradizionale spalla francese equivarrebbe a una condanna ufficiale alla leadership solitaria, un’involuzione che nella storia non ha portato niente di buono. Nell’Unione già fragilizzata da mille contese intestine, l’astro Le Pen promette dunque destabilizzazioni a catena e chiusure negli Stati-nazione: un ingannevole bagno a ritroso nell’irrealtà dove l’anti-storia europea e globale magari seduce ma aggrava i problemi, non li può risolvere perché tutti gli Stati Ue da soli sono troppo piccoli per riuscirci. Detto questo, la piccola, ricca e stabile Danimarca ha appena votato no al referendum che doveva decidere se europeizzare la sua sicurezza. La Gran Bretagna sta meditando su Brexit. In breve, se vuole vincere l’Europa deve imparare a convincere i suoi cittadini sempre più scettici. E le sue democrazie di Governo devono smettere di minimizzare ansie e paure dei cittadini. Criminalizzare i voti estremi impartendo lezioni di politically correct finora è servito solo a ingrossare le file di Le Pen e affini. Sarebbe bene rifletterci. Sul serio.

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