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«Il greggio tornerà a 80 dollari solo nel 2020»

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Scenari

«Il greggio tornerà a 80 dollari solo nel 2020»

Da un lato, il drastico calo del prezzo del petrolio che, per dirla con le parole di Emma Marcegaglia, presidente dell’Eni, ha conosciuto «negli ultimi dodici mesi un movimento estremamente violento» costringendo le compagnie a rivedere le proprie strategie e i propri piani di investimento. Dall’altro, il cambiamento climatico che impone, come tappa non più procastinabile, la transizione verso un sistema energetico a più bassa intensita di carbonio e più efficiente. Approdo tutt’altro che semplice, sul quale i paesi riuniti in questi giorni a Parigi sono alla faticosa ricerca di una quadra che non vanifichi gli sforzi fatti finora.

Ma il quadro fotografato puntualmente come ogni anno dal World Energy Outlook e tratteggiato ieri nella sede dell’Eni dal direttore dell’Agenzia internazionale per l’Energia, Fatih Birol, alla presenza dei vertici del gruppo, il presidente Emma Marcegaglia e l’ad Claudio Descalzi, e dei ministri dello Sviluppo Economico e degli Esteri, Federica Guidi e Paolo Gentiloni, suggerisce la necessità di imboccare con maggiore decisione la strada che porta a opzioni energetiche meno inquinanti (si veda anche altro articolo in pagina). E disegna, per le compagnie come Eni, uno scenario futuro ancora molto fosco in cui il prezzo del petrolio - che ieri viaggiava sui nuovi minimi pluriennali, sotto quota 39 dollari, per la prima volta dal 2009 - «tornerà a 80 dollari al barile solo nel 2020 con un successivo graduale ulteriore rialzo». E dunque comporterà ancora per le imprese, come sottolinea con estrema lucidità Marcegaglia, «scelte importanti e molto difficili», che, peraltro, con lungimiranza, il Cane a sei zampe ha già messo in campo da tempo e che devono essere ora ulteriormente implementate. La direzione la indica il numero uno Descalzi. «Dobbiamo puntare - dice - a essere poco costosi, a cambiare la nostra cultura sia all’interno che all’esterno. Non siamo Paperon de’ Paperoni, bisogna essere rigorosi anche se abbiamo asset che sono estremamente positivi». In questo momento, prosegue l’ad di Eni, «dobbiamo riuscire a vivere con un prezzo che oscilla tra un floor di 40 dollari a un ceiling di 55, massimo 60 dollari. Potrebbe rimanere così per 4-5 anni, quindi dobbiamo poter vivere con questo tipo di scenario. Chi può sopravvivere? I paesi che hanno risorse che costano poco e per le compagnie vale la stessa cosa».

La strada da battere, quindi, è quasi obbligata. Tanto più che i prezzi - e la stessa Agenzia non fa che sottolinearlo -, potrebbero rimanere bassi più a lungo di quanto previsto. E, dunque, ribadisce Descalzi, «le compagnie che hanno fatto scelte costose, quelli che hanno scommesso su uno scenario a 110 dollari fanno molta fatica perché non è solo questione di tagliare i costi, ma devono tagliare i progetti». E il rischio, come evidenzia anche Birol, è che un prolungato ribasso dei prezzi rappresenti «una minaccia per la sicurezza delle forniture energetiche» poiché finirebbe per impattare sulla realizzazione degli investimenti sul lato dell’offerta. Perché se è vero che il calo del Brent ha rappresentato, come spiega anche il ministro Guidi, «un elemento facilitatore per un paese come il nostro per uscire dalla crisi», contribuendo, tra l’altro, alla riduzione della bolletta energetica, non si può però sottacere «l’altra faccia della medaglia», e cioè l’inevitabile impatto sugli investimenti di quei settori e di quelle filiere industriali ad esso collegati. «I prezzi bassi - sottolinea la Guidi - ci hanno aiutato a uscire dalla crisi, ma ora dobbiamo creare una struttura di policy adeguata». Che chiama in causa certo i singoli Stati, ma esige anche uno sforzo comune.

Ed è per questo che inevitabilmente lo sguardo si sposta sul consesso francese. «Credo che da Parigi - sottolinea il ministro Gentiloni - verrà un accordo positivo, ma con meccanismi di attuazione e verifica non semplici e non chiarissimi. Non credo che avremo sorprese circa gli obiettivi che la conferenza cerca di raggiungere, ma temo non avremo sorprese anche sui meccanismi di verifica di questi obiettivi, che saranno aperti». In sostanza, le modalità di addio al carbone «saranno complesse e su queste l’Italia avrà un ruolo da giocare, perché la nostra capacità di innovazione e di green economy sono asset che in questa fase potranno farsi valere», chiosa Gentiloni, che guarda anche alla Libia e alla conferenza di domenica «in cui dobbiamo dare un messaggio molto semplice e cioè che ci sono le condizioni per la stabilità in Libia. Noi possiamo favorirla, dopodiché l’intesa deve essere un’intesa tra libici e sufficientemente inclusiva per poi poter essere difesa e mantenuta». Una Libia che rimanda a un continente, come l’Africa, che offre, afferma Gentiloni, «un’agenda positiva di opportunità». E Descalzi che, con il suo gruppo, ha appena portato a casa la scoperta del maxi-giacimento egiziano di Zohr e ha scommesso sull’hub del Mediterraneo orientale, imperniato sull’asse Egitto-Cipro-Israele, non può che essere d’accordo.