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Lo strabismo dell’Europa sugli aiuti alle banche

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Scenari

Lo strabismo dell’Europa sugli aiuti alle banche

Burocrazie autoreferenziali a Bruxelles da un lato, governi e parlamenti nazionali distratti dall'altro; è questa la miscela tossica che può produrre un corto circuito della politica economica come quello che stiamo osservando sulle regole di risoluzione bancaria. Con il risultato paradossale di una Europa strabica, che definisce a singhiozzo il concetto di aiuto di stato alle banche, causando rischi esponenziali di distorsione nella efficienza e nell'equità che possono danneggiare le stesse fondamenta del progetto di Unione.

Le vicende che hanno costretto la Banca d'Italia di avviare con tempi e modalità di emergenza le procedure di risoluzione bancaria sono un esempio recente ed eclatante di un meccanismo che ha (purtroppo) una storia oramai consolidata: la distorsione delle regole prodotta dalla contemporanea presenza di burocrazie autoreferenziali e politici opportunisticamente distratti.

Il meccanismo è semplice, e parte dalla risposta ad una semplice domanda: perché i politici non si occupano direttamente e sistematicamente di regole tanto delicate come quelle legate al funzionamento dell'industria bancaria e finanziaria, ma preferiscono delegarle a burocrazie non elette?

La risposta dipende dall’analisi costi e benefici che i politici fanno quando decidono quali politiche economiche delegare, e quali no. I politici difficilmente rinunciano ai poteri di gestione delle tasse, o della spesa pubblica, mentre volentieri delegano la definizione e la messa in atto delle regole bancarie e finanziarie, sempre però pronti ad intervenire se qualcosa va storto.

I politici delegano quei poteri che sono contemporaneamente a basso rendimento ed alto rischio, dal punto di vista del consenso da parte dei cittadini votanti. Prendiamo le regole bancarie e finanziarie. Sono regole che hanno almeno quattro caratteristiche che, viste tutte insieme, le rendono poco appetibili agli occhi dei politici. Innanzitutto hanno un grado di tecnicismo relativamente alto, che le rendono non immediatamente comprensibili e fruibili dal politico medio, anche ipotizzandolo di cultura e capacità almeno medie. Per cui, se in Europa si sta discutendo delle regole di risoluzione bancaria – termine la cui stessa traduzione in italiano si presta ad equivoci, soprattutto se si parla di “banche risolute” – l’argomento viene volentieri lasciato alle burocrazie di Bruxelles.

In secondo luogo, ed in generale, non producono effetti redistributivi percepiti come rilevanti dall’elettore medio. L’elettore medio percepisce – o almeno crede di percepire – con chiarezza gli effetti sul suo portafoglio di variazioni delle aliquote o delle spese pubbliche, ma difficilmente si appassionerà alle conseguenze di disegni alternativi delle procedure di risoluzione bancaria. Ma se non interessa all’elettore, non interessa al politico.

In terzo luogo, se le regole bancarie sono ben funzionati e ben applicate, gli effetti positivi sono poco percepiti dai cittadini. Chi mai si è preoccupato della stabilità bancaria prima del crack di Lehman Brothers del settembre 2008? Quale trasmissione televisiva o radiofonica ha dedicato – e dedica – più un minuto alle questioni di gestione corretta del rischio, a meno che non sia il dramma della cronaca ad imporre una – ahimè spesso presunta – analisi del tema? Ma se il sano e regolare funzionamento del settore bancario non fa notizie, significa che non produce consenso, quindi il suo valore politico tende allo zero. In tempi normali, alle regole alle risoluzioni bancarie il tempo politico di attenzione è insignificante. Per cui parlamenti e governi non se ne occupano, o se ne occupano male ed in ritardo.

In quarto luogo, però, vi possono essere dei momenti straordinari: se le regole bancarie sono disegnate o applicate male, possono esserci danni per i risparmiatori, più o meno diffusi. Al crescere dei danni, effettivi o presunti, di regole o politiche bancarie errate, i costi reputazionali salgono esponenzialmente. Per cui il politico ha un doppio riflesso pavloviano: accusare le burocrazie a cui la gestione delle regole sono state delegate di inefficacia ed inefficienza; riavocare a sé il diritto/dovere di gestione delle regole, per migliorarle. Gli anni della Grande Crisi hanno confermato in modo sistematico due fatti: che il politico tende a modificare l’architettura delle regole e della vigilanza all’indomani di una crisi; che l’assetto riformato non è necessariamente migliore di quello coevo, anzi.

La gestione delle regole di gestione delle crisi bancarie ha visto nei fatti una Europa strabica: l’aiuto di stato bancario è stato sistematicamente tollerato in alcuni periodi ed a favore di ben precisi Stati membri; scelte tecniche coperte dall’assoluto consenso politico di tutti, beneficiari e non.

Poi è venuto il momento dell’Italia, e una burocrazia europea ha eccepito l’aiuto di Stato con argomentazioni economicamente assurde. L’assurdità tecnica non è stata eccepita da nessuno, a partire dal Governo e dal parlamento italiano. Lo strabismo tecnico è stato tollerato ed avallato. Sono emersi improvvisi effetti economici indesiderabili, e con essi i rischi di consenso politico. Il tema delle regole bancarie di incanto ha perso il tratto di tecnicismo; i risparmiatori percepiscono gli effetti redistributivi, e quindi cavalcare l’emergenza può divenire un moltiplicatore di consenso politico. La delega alle burocrazie viene ritirata in modo generale ed incondizionato, almeno a parole. La gestione della politica bancaria diviene ad alto rendimento ed a basso rischio, almeno temporaneamente.

Quale è il risultato finale? Dipende dalla capacità di imparare dall’evento traumatico, in questo caso rappresentato dall’episodio delle obbligazioni subordinate emesse dalle banche “risolute”. Con un obiettivo: evitare che lo strabismo europeo continui, danneggiando alla base l’archittettura dell’Unione.

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