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Perché «Von Bond» non paga il bail-in

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il credito malato / l’analisi

Perché «Von Bond» non paga il bail-in

Merkel contro tutti, seconda parte. Calato il sipario sulla tragedia greca, i drammi finanziari di Eurolandia tornano in scena con un nuovo capitolo della saga. E anche in questo caso, la trama è scritta nell’introduzione: un monologo tedesco sulle regole del gioco. Del resto, quando si chiede a «Von Bond» di aiutare uno Stato o condivedere debiti, direzione e regia li prende Angela Merkel.

Nessuna sorpresa, dunque, quando venerdì scorso, davanti al Consiglio europeo, l’esordio della Cancelliera tedesca ha gelato la platea: come nella storia di Atene («Salvate il soldato Tsipras»), anche in «Banche e buoi dei Paesi tuoi» i tedeschi faranno la parte dei cattivi. Le banche, questo è il senso del suo monologo, sono «spazio vitale» per la Germania, un territorio protetto su cui anche la Bce ha sovranità limitata. Regole e vigilanza sul credito, come tutela dei correntisti e garanzie sui risparmi, non sono materia da condividere con altri. «La Germania - ha recitato venerdì la Merkel, ritiene che la mutualizzazione dell’assicurazione dei depositi bancari farebbe l’opposto di ridurre i rischi nel sistema finanziario. Per questo pensiamo che sia sbagliata e la respingiamo». Pur non citandola, il bersaglio era chiaramente Bce: l’idea di un fondo unico europeo per tutelare tutti i risparmi dell’Eurozona è nata proprio a Francoforte.

In aula è calato il silenzio. E più di un leader ha guardato Matteo Renzi: dopo Mario Draghi, lo stop della Merkel sembrava indirizzato proprio lui. A Berlino, ma anche a Francoforte e Bruxelles, si dice apertamente che il frettoloso salvataggio dell’Etruria e di altre 3 banche a rischio fallimento non rappresenti un caso isolato: l’Italia non è pronta alle sfide dell’Unione Bancaria, il sistema creditizio è fragile e altre banche potrebbero fallire presto. E se la Vigilanza di Consob e Bankitalia fa acqua, l’educazione finanziaria dei risparmiatori è già sul fondo: se non capiscono il «bail-in», figuriamoci il sacrificio dei risparmi investiti sui bond. Così, con il Governo in grande difficoltà nel fall-out dell’operazione-Etruria, il coro delle parole in libertà ha travolto ogni regola di educazione, diplomazia e rispetto. Il commissario Ue ai servizi finanziari, Jonathan Hill, si è distinto (negativamente) sentenziando che in Italia «le banche vendono ai clienti prodotti inadatti» e che la tutela del risparmio «è un problema che va affrontato seriamente»: parlava forse per Bankitalia, la Consob, l’Eba o ha verificato personalmente le pratiche commerciali delle banche italiane? 

Qualcuno avrebbe fatto bene a ricordargli che proprio le banche inglesi sono sempre al centro di vecchi e nuovi scandali, come subprime, evasione e riciclaggio, manipolazione dei tassi Libor, cambi Forex, Eurex e dei futures sulle commodities. Ma l’ultimo profeta, in ordine di tempo, è stato Lars Feld, braccio destro del ministro delle Finanze tedesco Wolfang Schauble. In un’intervista al Corriere della Sera ha annunciato con disinvoltura il prossimo fallimento di una grande banca italiana, raccomandandoci persino il bail-in di tutti i risparmiatori, azionisti, bondholder e corresti oltre i 100mila euro. Ma la vera perla è stata il suo suggerimento di chiedere al prossimo bail-in l’aiuto tempestivo del Fondo salva-Stati (Esm) e l’intervento della Troika, così da scongiurare il rischio di contagio in altri Paesi. Anche qui sorge una domanda: il signor Feld parla a ruota libera, o è stato segretamente informato da qualche authority di vigilanza? Allo stesso Feld dobbiamo però essere riconoscenti per aver ammesso ciò che in Europa si è capito da tempo, e cioè che la presenza pubblica nelle banche tedesche è stata approvata dall’Europa in deroga alle norme sugli aiuti di Stato applicate all’Italia e ad altri Paesi: se una banca tedesca salta, come è successo pochi mesi fa alla Hsh Nordbank, Berlino ha quindi il diritto di usare i soldi del contribuente per salvarla e per evitare perdite ad azionisti, risparmiatori e bondholder, sia senior che subordinati.

Nel caso della Hsh, per esempio, se nessun risparmiatore o cliente della banca ha perso soldi è proprio per la garanzia fornita dalla presenza pubblica tra gli azionisti della banca: «Lo Stato - ha ammesso Feld senza imbarazzo - non può essere trattato come un semplice azionista». Peccato che la stessa operazione fatta dai tedeschi su Hsh sia stata invece vietata all’Italia: a inizio 2015 una procedura d’infrazione per aiuti di Stato è stata avviata da Bruxelles per il salvataggio della Tercas, operazione peraltro effettuata con i contributi straordinari delle banche italiane al Fondo interbancario di garanzia. Se ci fosse stato permeso di procedere come è stato consentito alla Germania, ha denunciato più volte lo stesso presidente dell’Abi Antonio Patuelli - nessun risparmiatore o investitore dell’Etruria o delle altre banche salvate avrebbe perso un solo euro. Di qui, la giusta decisione dell’Associazione bancaria di tentare un ricorso contro la direttiva europea e la sua interpretazione.

Come si deduce chiaramente, i problemi sollevati dalle crisi bancarie non saranno risolti facilmente. Soprattutto non finiranno le polemiche. Se da un lato è vero infatti che il salvataggio dell’Etruria e degli altri 3 istituti a spese degli azionisti e dei bond subordinati ha scongiurato una ben più costosa e socialmente devastante bancarotta, dall’altro lato il Governo avrebbe potuto prendere altre strade: dare azioni delle nuove banche in cambio delle obbligazioni junior annullate, come hanno fatto per esempio in Islanda e Portogallo. Non solo. Invece di chiedere al sistema bancario di finanziare interamente il costo dei salvataggi (3,6 miliardi) e di ricorrere ancora ai loro fondi per pagare in arbitrato i risarciamenti ai truffati, sarebbe forse stato meglio accantonare una somma a fronte della cessione delle 4 banche da dedicare ai rimborsi per le pratiche commerciali scorrette.

Comunque sia, resta il fatto che non solo in Italia, ma in generale in ogni Paese colpito da una crisi bancaria salvataggi di banche e bail-in dei risparmiatori non sembrano avere o seguire alcuna regola o precedura certa. In Austria e Olanda, per esempio, governi e authority stanno facendo pagare i salvataggi di banche in crisi non solo agli azionisti ordinari, ma anche agli obbligazionisti senior o subordinati. Proteggere il contribuente dal rischio di farsi sempre e ancora carico del salvataggio di banche e bondholder è lo spirito della legge e il dilemma dei Governi, che fanno però i conti con due paure: la prima, è la perdita del consenso sul piano elettorale per il coinvolgimento dei risparmiatori nei bail-in; la seconda, è la reazione negativa degli investitori finanziari sui titoli e sui bond bancari per effetto delle possibili perdite in caso di crisi.

Durante la tempesta del 2008, fu proprio quest’ultimo timore a spingere governi authority, dagli Usa all’Europa, a sottrarre i bond bancari dal giudizio di mercato in caso di insolvenze: gli azionisti perdono sempre, si diceva a Wall Street, gli obbligazionisti mai. Poi, piano piano, un pò ovunque (meno che in Germania) si è cominciato a riportare sul mercato rischi e costi che erano stati scaricati sulla collettività. Oggi altri casi di crisi non si possono escludere, e non solo in Italia. Ma l’emergenza è finita e vivere nella paura non è una soluzione. Ai mercati è stato danto molto, in protezione e liquidità: senza contare le migliaia di miliardi di dollari ed euro elargiti dalle banche centrali con tassi a zero e imponenti Quantitative easing. Dare di più sarebbe troppo.

Con la nuova procedura di bail-in che si profila all’orizzonte, cercare scappatoie, colpevoli o sperare in marce indietro dell’Europa non appare sensato. Meglio dare subito risposta ai legittimi timori dei risparmiatori. Oggi, e non solo in Italia, si sente l’esigenza di authority più forti e con ruoli ben distinti sulla base degli obiettivi da raggiungere, non sulla sola tipologia dei soggetti vigilati. Servono leggi più severe sugli abusi bancari, con sanzioni come quelle americane o inglesi che prevedono pesantissime revocatorie sugli stipendi e sui bonus dei banchieri disonesti. Ma soprattutto, serve una giustizia veloce ed efficiente per garantire al cittadino, all’impresa e al risparmiatore non solo la certezza del diritto ma anche quella della pena. Se poi Bruxelles sarà in grado di dotarsi di una governance più equilibrata, di una vera leadership capace di garantire regole e diritti uguali per tutti e per ogni Paese, sarà più facile riportare la fiducia sulle banche, sulle istituzioni e sul futuro stesso dell’Eurozona.

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