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«La tecnologia cambia i criteri del Pil»

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modelli di crescita

«La tecnologia cambia i criteri del Pil»

Una crescita lenta, troppo lenta? No, per nulla: Joel Mokyr non è d’accordo. Abituato a vedere le cose da una prospettiva di lungo periodo, lo storico dell’economia, crede che, semplicemente, non siamo più in grado di valutarla.

«Penso che siamo un po’ troppo imprigionati nei vecchi metodi di misurare la crescita», spiega. «Non è un’idea solo mia – aggiunge –. Anche Hal Varian, l’economista di Google, afferma che i vecchi sistemi non si possono più applicare all’economia dell’informazione».

La ragione è semplice. Nella misurazione del Prodotto interno lordo – che è la somma del valore dei beni finali prodotti da un’economia –si applicano i prezzi di mercato (anche quando si tenta di depurare gli effetti dell’inflazione). «Il problema è che l’economia dell’informazione ha reso troppe cose sostanzialmente gratuite. Dall’avvio di Twitter sono stati inviati 300 miliardi di messaggi, una massa incredibile di comunicazioni che hanno valore per la gente che le ha inviate, e forse anche per chi le ha ricevute. Il valore totale di mercato di questa quantità di messaggi è esattamente zero».

Gli esempi sono tanti: dai software e linguaggi di programmazione open-source ai Massive Open Online Courses, corsi online spesso tenuti da docenti di altissimo livello (per esempio, John Cochrane, Robert Shiller, Timothy Geithner, Michael Sandel, per citarne solo alcuni). «Il contributo di questi beni al Pil è zero o è molto piccolo, ma l’importanza per il benessere dei consumatori è enorme».

È il frutto della tecnologia, che Mokyr ha lungamente studiato. «La digitalizzazione sta cambiando la struttura dei costi dei beni: nell’economia concorrenziale che conosciamo, i prezzi sono portati verso il basso fino al costo marginale, il costo di produrre un’unità in più, ma molti dei beni che si sono prodotti con la digitalizzazione hanno un costo marginale pari a zero. I costi totali possono essere alti, perché ci sono costi fissi elevati per iniziare la produzione, ma la forza della concorrenza porta prima o poi i prezzi al livello del costo marginale. Noi quindi sottovalutiamo sistematicamente beni che hanno un valore alto. È un fenomeno davvero unico, perché in passato i prodotti che l’economia produceva erano l’acciaio, i mattoni, macchine, e tutti avevano un alto costo marginale».

Siamo di fronte a un cambiamento nell’innovazione tecnologica. «Molta crescita economica si sta generando attraverso il miglioramento della qualità di beni che esistono già e se un bene è più avanzato e costa lo stesso, è come se fosse diventato meno caro».

Nell’attuale sistema di produzione delle statistiche sul Pil reale in cui – semplificando – si attribuiscono ai beni di oggi i prezzi del passato (oggi quelli del 2010, in genere), è evidente che i risultati sono distorti. «I metodi di calcolo della crescita e della produttività sono stati disegnati per un’economia in cui il progresso tecnologico avviene innanzitutto attraverso l’innovazione dei processi, che permette di produrre la stessa quantità di beni, per esempio il caffè, con minori input. Se, invece, oltre a rendere il caffè meno caro, ne miglioro il sapore, questo è difficile da misurare», dice Mokyr, che ha ricevuto il premio della Fondazione Balzan che sarà destinato in parte, come da statuto, a finanziare ricerche di giovani studiosi da lui guidati.

La conclusione è che «le statistiche sulla crescita sono tremendamente fuorvianti. Dove sono ancora valide è nel valutare la crescita di quest’anno rispetto all’anno scorso, ma se vogliamo confrontare la produzione di oggi con quella di dieci anni fa... Sono accadute troppe cose in termini di innovazione di prodotto».

La soluzione? Per ora non c’è. «Non ho un sistema migliore, e oggi non ce l’ha nessun altro: occorre un nuovo Simon Kuznets», spiega riferendosi all’inventore delle statistiche sul Pil. Il ruolo della tecnologia resta centrale, nell’impostazione di Mokyr, che quindi apprezza solo fino a un certo punto le nuove teorie della crescita, ormai dominanti e legate ai nomi di Daron Acemoglu, James Robinson, Simon Johnson, secondo cui essa è legata alla qualità delle istituzioni. Secondo Mokyr, questa scuola – a cui ha anche contribuito – si concentra molto sui diritti di proprietà, il governo della legge e non sulle istituzioni che creano scienza e tecnologia. «Ma questo non spiega perché una società diventa innovatrice, creatrice, e inventa cose come i raggi X, l’energia nucleare o il televisore».

Mokyr ha molto studiato, allora, la Res publica litterarum che crebbe in Europa, ignorando i confini nazionali, dal XVII secolo fino all’Illuminismo e permise scambio e competizione tra persone e idee: «Creò le istituzioni da cui nacquero l’Illuminismo e la rivoluzione industriale e creò un senso di fiducia nel programma baconiano, secondo il quale la ricerca non doveva puntare soltanto a capire il mondo, ma anche a migliorare le condizioni dei marinai, degli agricoltori, dei produttori, dei mercanti: a risolvere problemi concreti e pragmatici».

Mokyr è decisamente un entusiasta della tecnologia. «Il momento migliore, nella storia dell’uomo, in cui essere nati è il 2015, perché la vita oggi è migliore di quanto non sia mai stata, in termini di condizioni materiali; e questo per me conta davvero: non se il Pil sia salito, rispetto all’anno scorso, dell’1,1% o dell’1,4%».

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