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Lucy e il test investimenti

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Fisco

Lucy e il test investimenti

Sarebbe ingeneroso commentare la conferenza stampa di fine anno di Matteo Renzi con l’acidità di Lucy, che domanda a Linus se nel corso dell’anno si sente cambiato e poi, dopo la risposta positiva, chiosa scettica: «Volevo dire in meglio…». Non è escluso che molti italiani a fine 2015 si sentano ben rappresentati da questa striscia di Schulz, ma per fortuna il presidente del Consiglio ha ragione nel rivendicare un miglioramento complessivo della situazione economica italiana nel corso dell’anno che si sta chiudendo.

Quando passi da una crescita negativa dello 0,4% a una positiva dello 0,8% il miglioramento c’è.

Quando, dopo anni di segni negativi nei dati sull’occupazione, puoi rivendicare 300mila posti in più il miglioramento è nei numeri. E tuttavia quei progressi sono ancora troppo fragili per liquidare Lucy come la solita maldicente.

L’ultima rilevazione trimestrale Banca d’Italia-Sole 24 Ore, i cui dati definitivi saranno presentati a inizio gennaio, indica che le attese sull’occupazione nel breve termine sono lievemente peggiorate, con un aumento dal 14,4 al 17,3% delle imprese che stima una riduzione del numero di addetti nel prossimo trimestre, mentre è stabile al 16,5 per cento la quota di quelle che prevedono un incremento. Anche le attese sull’inflazione al consumo sono state lievemente riviste al ribasso e il saldo tra chi vede migliorare la situazione economica generale e chi la vede peggiorare, pur restando positivo, diminuisce rispetto al trimestre precedente (12,5 punti percentuali).

Sfumature. Ma che rimarcano ancora una volta come la spinta della ripresa vada ancora consolidata. Proprio per questo fa bene il presidente del Consiglio a rivendicare la scelta di una manovra espansiva, che sfrutta (quasi) al massimo la flessibilità potenziale che le regole europeo ci concedono. Renzi si è detto molto sicuro sul via libera europeo in primavera all’utilizzo di quella flessibilità. Ma non a caso è stato prudente sulla clausola che fa riferimento agli investimenti. È qui, infatti, che l’Italia deve concentrare i suoi sforzi per meritarsi i maggiori margini di spesa.

Nella legge di stabilità ci sono norme importanti per il rilancio degli investimenti pubblici. La clausola vale quasi 5 miliardi, con un effetto leva che - come ha sottolineato Giorgio Santilli su questo giornale - può liberare fino a 11,8 miliardi. Ma bisognerà dimostrare di saper superare il male di sempre: le lentezze burocratiche che frenano i progetti, gli interessi partitici locali che premiano non i piani migliori ma i più utili in termini di consenso, l’incapacità delle pubbliche amministrazioni di gestire le macchine complesse necessarie a portare avanti i progetti e, non ultima, la corruzione, che resta (malgrado Cantone) un persistente male italiano. Una scommessa da vincere, anche perché la commissione europea ci riconoscerà la clausola di flessibilità solo se dimostreremo che saremo davvero in grado di aumentare gli investimenti.

Non deve sorprendere, in questo contesto, la prudenza dimostrata da Renzi sul fronte delle tasse. Quando sei sotto l’esame europeo già per quest’anno è almeno inopportuno parlare degli eventuali tagli fiscali della prossima legge di stabilità. Qui però c’è anche un elemento di debolezza del premier, perché si conferma l’assioma per cui una riduzione della pressione fiscale stabile e duratura è possibile solo se accompagnata da una altrettanto stabile e duratura riduzione della spesa pubblica improduttiva. Ed è evidente che non basta sostenere, come ha fatto Renzi, che tanto tagliare il numero delle partecipate pubbliche non produce risparmi nell’immediato. Proprio perché i risultati non sono immediati, forse valeva la pena cominciare a tagliarle e a razionalizzarle già un anno fa.

Complessivamente, però, quello di ieri è stato un Renzi prudente. Realistico. Soprattutto quando si è trattato di affrontare il tema più delicato di queste settimane: le banche. Renzi ha usato i toni della ragione, non quelli della propaganda. Ha sottolineato la solidità del sistema bancario e ha ridimensionato la questione della commissione parlamentare di inchiesta. Una pietra, quest’ultima, gettata nel dibattito politico nei giorni scorsi, senza alcuna attenzione ai danni sistemici sul sistema del credito che giustamente preoccupano anche il presidente Mattarella. Uno strumento di lotta partitica che può servire magari alla visibilità di qualche politico ma non certo ai risparmiatori italiani. Il presidente del Consiglio ha piuttosto messo l’accento sulla necessità di una drastica semplificazione dei prospetti per garantire la massima trasparenza verso i piccoli risparmiatori. Una pagina – ha detto – in cui si indica con chiarezza la rischiosità dei prodotti venduti, non 47 documenti da firmare che confondono e rendono oscuri rischi e opportunità. È quello che chiede il Sole 24 Ore, anche con il suo manifesto, dal giorno in cui è esplosa questa crisi del risparmio.

Un passo importante, perché la fiducia, nel risparmio come in tutta l’economia, è fondamentale per dare corpo e stabilità alla ripresa. Senza fiducia non ci sarà l’auspicato aumento degli investimenti. E senza investimenti, per dirla con Lucy, il cambiamento difficilmente diventerà miglioramento stabile e percepibile da tutti.

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