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Per i distretti futuro da «reti della conoscenza»

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sul territorio

Per i distretti futuro da «reti della conoscenza»

«Gli italiani sono abituati, fin dal Medioevo, a produrre, all’ombra dei campanili, cose belle che piacciono al mondo». La celebre frase dello storico dell’economia Carlo Maria Cipolla ben sintetizza i due ingredienti storici del successo della manifattura italiana: le cose belle, cioè i prodotti di qualità, e i campanili, cioè territori e distretti. Purtroppo, per continuare a crescere questi due elementi non bastano più.

Prodotti di qualità e distretti territoriali hanno fatto dell’industria un importante motore di crescita per l’Italia, fino a renderla la seconda economia manifatturiera in Europa e la quinta nel mondo. Ai tempi del miracolo economico la manifattura è stata la locomotiva. Nei momenti di crisi, compresi gli ultimi duri anni di recessione, è diventata il salvagente dell’economia. Anche i timidi segnali di ripresa del 2015 sono in gran parte dovuti alle esportazioni più che a investimenti e consumi domestici. E l’export è per il 95% manifatturiero, tradizionalmente fonte d’importanti surplus di bilancia commerciale (99 miliardi di euro nel 2014).

Tuttavia, la ricetta di Cipolla va aggiornata. A bellezza, creatività e qualità vanno aggiunte molta tecnologia e continua innovazione. I distretti tradizionali vanno trasformati in “reti della conoscenza”, capaci di andare oltre i confini fisici del territorio. Cosa significa concretamente? Facciamo due esempi.

Primo. Oltre che belli, i manufatti devono essere anche “intelligenti”. Internet of things sta rivoluzionando il settore industriale. La nuova generazione di prodotti che, grazie a software e connessione di rete, acquisiscono una sorta d’intelligenza artificiale, offre enormi opportunità. Che occorre saper cogliere. Come ha fatto Camozzi, azienda bresciana leader nel settore delle macchine tessili. Il “filatoio intelligente” trasmette in rete informazioni che consentono di aumentarne l’efficienza e compiere manutenzione predittiva, evitando guasti e fermi macchina. Con vantaggi per il cliente. E per il produttore, che al contratto di vendita può abbinarne uno di servizi, dando maggiore stabilità ai ricavi.

Secondo. L’ombra rassicurante del campanile non deve impedire alle imprese di avere antenne sul mondo, per conoscere i mercati, captare le nuove tendenze, soprattutto per aggregare le competenze. I distretti devono evolvere in “reti della conoscenza”. L’ha capito Dompé, una delle principali aziende biofarmaceutiche italiane, la cui strategia è essere parte di un network di eccellenze in tutte le attività della filiera. Il gruppo investe in R&D il 20-25% del fatturato e ottiene risultati di alto livello attraverso la stretta cooperazione con università e istituti di ricerca in tutto il mondo e mediante collaborazioni attive con altre imprese e startup.

Le prospettive per il 2016 sembrano abbastanza positive per la nostra manifattura, che dovrebbe beneficiare del buon andamento internazionale di alcune filiere in cui l’Italia gioca un ruolo di primo piano, come farmaceutica, elettrotecnica e soprattutto automotive. Un contributo dovrebbe venire anche dal reshoring, il rientro di produzioni in precedenza delocalizzate, specie nel made in Italy. È finita l’epoca delle delocalizzazioni aggressive. Si è compreso che allontanando l’industria si perdono progressivamente anche molti servizi. La manifattura ha un rilevante effetto moltiplicatore sul resto dell’economia, grazie a incrementi di output in altra manifattura e servizi collegati. Inoltre il settore manifatturiero in Italia, pur incidendo sul Pil per il 16%, genera la metà della spesa in innovazione e il 70% degli investimenti in ricerca e sviluppo.

Il 2016 sarà un anno decisivo per la manifattura italiana, da cui dipende in larga misura la ripartenza di tutta l’economia. Gli anni di crisi hanno messo fuori gioco molte imprese. Sono sopravvissute le migliori, quelle con maggiore capacità di gestire il cambiamento e di fare innovazione, di produrre “oggetti intelligenti” e di diventare parte attiva nelle nuove “reti della conoscenza” globale. Da queste imprese può partire un vero e proprio Rinascimento della manifattura italiana. O almeno una rinascita.

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