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Bruxelles ha buone istituzioni?

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la partita della sovranità

Bruxelles ha buone istituzioni?

Nell’editoriale pubblicato su questo giornale il 29 dicembre, il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker ha dichiarato: «Potrò sembrare un disco rotto, ma non riesco proprio a capire perché mantenere gli impegni presi ai livelli politici più alti è stato finora così difficile». Una dichiarazione di un’ingenuità disarmante che ne segue un’altra ancora più sorprendente: «Se sembra che l’Unione europea (Ue) abbia tutte le soluzioni ai suoi problemi è perché in teoria è proprio così».

Insomma, l’Ue potrebbe risolvere tutti i problemi, dice Juncker, ma non riesce a farlo per le resistenze dei capi di governo dei suoi stati membri. Ciò che manca all’Ue è la volontà politica, perché le istituzioni sono lì pronte per risolvere i problemi. È una storiella che noi italiani conosciamo molto bene: se le cose vanno male è sempre colpa degli individui che stanno al potere, mai delle cattive istituzioni entro le quali essi agiscono. Certamente la volontà politica conta, ma essa si esercita dentro un contesto di istituzioni che possono favorirla o neutralizzarla. Sono le buone istituzioni ciò che manca all’Ue e soprattutto all’Eurozona.

Quasi un quarto di secolo fa si prese la decisione cruciale di creare un’unione monetaria, senza però accompagnarla con istituzioni adeguate per farla funzionare. La crisi iniziata nel 2008 ha messo in drammatica evidenza tale incongruenza, eppure si è continuato a trovare risposte ad essa rimanendo all’interno di quella incongruenza. Cioé fare decidere ai governi nazionali politiche che hanno un carattere sovranazionale. Fino a quando le cose sono andate bene, i governi nazionali si sono coordinati ed hanno trovato consensualmente le necessarie mediazioni. Ma quando le cose hanno cominciato ad andare male, con l’arrivo della crisi e con i suoi impatti redistributivi, allora il consenso ha lasciato il posto alle divisioni di interesse tra quei governi nazionali. Tant’è che, sotto l’incalzare della crisi, le decisioni sono state imposte dagli stati più forti agli stati più, ma poi questi ultimi hanno trovato conveniente, come dice Juncker, «non mantenere gli impegni presi», posticipando l’applicazione ovvero vanificandone il contenuto. Secondo un circolo vizioso, a loro volta gli stati più forti hanno spinto per istituire un sistema sempre più centralizzato proprio per prevenire i comportamenti di “non-compliance”, oltre che per punirli una volta emersi. Ciò ha portato ad una concentrazione della decisione al centro, dove il centro è però condizionato dagli stati più forti, che possono così riaffermare la loro sovranità a danno di quelli più deboli. Infatti, ad ogni passaggio critico, il ministro tedesco delle finanze Wolfgang Schauble non si è fatto scrupolo di chiedere, agli stati che avevano bisogno di aiuto, di “trasferire” la loro sovranità a Bruxelles.

Così, all’interno dell’Eurozona in particolare, ha preso corpo un modello “quasi-statalista” in quanto i vari livelli di governo (nazionale ed europeo) si sono progressivamente compattati al centro. Naturalmente, più si è forzata la centralizzazione, più si è irrobustita la resistenza ad essa. Dopo tutto, per quale motivo il governo nazionale di uno stato periferico dovrebbe applicare misure che gli farebbero perdere le elezioni? Dovrebbero farlo per fare felici i governi nazionali degli stati più forti? Non può dunque stupire che le tre principali crisi dell’ultimo anno abbiano prodotto lo stesso esito: divisione tra gli stati. La crisi dell’euro ha prodotto una contrapposizione tra stati creditori e debitori, la crisi dei rifugiati ha portato alla nullificazione da parte dei paesi dell’Est di decisioni richieste dai paesi dell’Ovest, la crisi del terrorismo ha lasciato la Francia da sola nel suo tentativo di riaffermare la propria sovranità militare. È un problema di volontà politica, oppure l’assetto istituzionale costruito nell’ultimo quarto di secolo non dispone degli incentivi necessari per produrre decisioni che ricompongono e non dividono?

Naturalmente le istituzioni hanno una loro dipendenza dal percorso compiuto in precedenza. Anche se nate accidentalmente, una volta avviate tendono a riprodursi seppure a rendimenti marginali decrescenti. Per questo motivo è difficile cambiarle. Eppure, nel caso dell’Eurozona e dell’Ue, tale mal-funzionamento va evidenziato perché è correlato alla progressiva disintegrazione dell’Unione. Unioni di stati asimmetrici (per via delle loro diverse dimensioni demografiche) e con identità nazionali distinte non possono funzionare secondo un modello “quasi-statalista”, ma richiedono un modello “composito” in quanto basato su una separazione (seppure oggetto di continui negoziati) tra poche (ma cruciali) politiche che debbono essere decise al centro e il resto che deve rimanere sotto il controllo delle democrazie nazionali.

Qui non si tratta di trasferire la sovranità al centro, ma di distinguere la sovranità che si condivide con il centro( su alcune politiche) e quella che rimane al livello nazionale (per altre politiche). Se così è, allora i parlamenti nazionali non debbono proiettarsi su Bruxelles, rendendo ancora più debole il Parlamento europeo, come chiedono i quasi-statalisti. I parlamenti nazionali e i loro governi nazionali debbono gestire politiche che hanno un carattere preminentemente nazionale. Bruxelles, invece, deve farsi carico di politiche comuni, quelle che hanno implicazioni che vanno al di là dei singoli stati nazionali. Queste politiche comuni debbono essere sostenute, al centro, da una capacità fiscale limitata ma indipendente dai trasferimenti finanziari dei singoli stati e gestite attraverso il bilanciamento istituzionale tra un potere esecutivo (Consiglio dei capi di governo e Commissione) ed un potere legislativo (costituito esclusivamente dal Parlamento europeo) nettamente distinti. Nessuna decisione, inoltre, può essere presa dal potere esecutivo senza l’approvazione di quest’ultimo. Senza buone istituzioni è improbabile che l’Unione trovi le soluzioni ai suoi problemi. Jean-Claude Juncker è un leader di grande esperienza. Ma a volte quest’ultima non basta se non è alimentata da idee politiche adeguate.