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Le leve che Pechino deve usare

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la scvolta cinese

Le leve che Pechino deve usare

Simon Kuznets (premio Nobel dell'economia), disse qualche decennio fa: ci sono quattro tipi di Paesi nel mondo: sviluppati, sottosviluppati, Argentina e Giappone. La distinzione ha ancora merito, ma certamente bisognerebbe oggi aggiungere al quartetto la Cina: il Celeste impero non è Argentina né Giappone, non è sviluppato nè sottosviluppato.

Il modello cinese è unico: libertà economiche ma non civili, dualismo di imprese statali e imprese private, ambizioni tecnologiche (molte) e rispetto per l'ambiente (poco), campagne e città... E, oltre a essere unico, è anche ingombrante. La stazza dell'economia cinese – dal 2014 la più grande del mondo – fa sì che i suoi problemi diventino i problemi di tutti. L'ultimo segnale è il crollo della Borsa cinese che si ieri è irradiato in tutto il mondo. Le agitate temperie del mercato azionario di Shanghai non sono nuove: il 27 luglio 2015 era caduto dell'8,5% e anche allora i malumori si erano ripercossi nel resto del pianeta. Ma quanto sono seri i problemi della Cina? Certamente, la Cina si trova a un punto di flesso: visibile nell'economia e nella finanza, meno visibile ma altrettanto reale negli equilibri sociali e politici. I sussulti di un mercato azionario immaturo ne sono la manifestazione più appariscente: l'introduzione di strumenti e procedure di mercato nel sistema finanziario, pur se ultimamente benefica, deve fare i conti, nella fase di transizione, con le opacità dei conti e della governance, oltre all'inesperienza delle autorità di regolazione. Ma è soprattutto nell'economia reale che si notano le tensioni legate al passaggio verso un modello economico che punta sulla domanda interna più che sull'export. Ne è simbolo il doppio dato di ieri sugli indici Pmi cinesi: rallenta la manifattura, accelerano i servizi. Anche qui, il punto di flesso segna un passaggio ultimamente benefico verso uno sviluppo più sostenibile. E i gradi di libertà delle politiche economiche cinese sono ancora notevoli, sia per la moneta che per il bilancio. Un “atterraggio dolce”, se tale si può definire un tasso di crescita che passa dal 7 al 5%, è nell'interesse di tutti, e le autorità cinese hanno le leve per assicurarlo.

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