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L’Europa dei muri fisici e mentali

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schengen e colonia

L’Europa dei muri fisici e mentali

Bomba nordcoreana, rottura tra sauditi e iraniani, Borse in balia della tempesta cinese: appena nato, il 2016 sembra affannarsi a smentire i tanti buoni auspici che, in giro per il mondo, ne hanno salutato l’arrivo. In Europa i primi segnali appaiono, se possibile, ancora più inquietanti: il suo processo di sottile disgregazione, metodicamente coltivato per tutto l’annus horribilis che ci siamo lasciati alle spalle, sembra ora accelerare il passo.

Con incessanti deflagrazioni multiple sul corpo di una società e di una democrazia europea traumatizzata e confusa, la bomba rifugiati rischia di presentare un inventario-danni immediato tanto disastroso da interdire di fatto opportunità e promesse di integrazione futura. Si fa presto, come è puntualmente accaduto ieri a Bruxelles dopo l’incontro straordinario tra i ministri di Svezia, Danimarca, Germania e Commissione Ue, a difendere a spada tratta l’ordine di Schengen che sta andando in pezzi: se non si creano le condizioni per farlo, restano parole al vento. Ma le condizioni non si vedono proprio.

Un efficace controllo europeo delle frontiere esterne, l’unica vera garanzia a salvaguardia della libera circolazione delle persone dentro lo spazio Schengen, è tutto di là da venire: il vertice di dicembre ha fallito, se ne riparlerà tra sei mesi. Dei 160.000 rifugiati approdati in Italia e Grecia e da redistribuire in due anni nel resto dei paesi Ue, da settembre a oggi ne sono stati ricollocati 272. Dei centri di registrazione e identificazione, gli hotspot, solo 3 su 11 sono operativi.

L’accordo di Dublino e relativi doveri a carico del primo paese di accoglienza sono finiti nel limbo ma nulla per ora li rimpiazza. Anche il tentativo di outsourcing del problema rifugiati in Turchia grazie a un lauto pacchetto di concessioni, compresi aiuti per 3 miliardi, langue tra soldi che mancano all’appello e le solite discordie intra-europee. Se questo è il quadro, il tracollo di Schengen è più che logico, sarebbe incredibile il contrario.

Per ora sono saltati 60 anni di libera circolazione intra-scandinava tra Norvegia, Svezia e Danimarca con il ripristino dei controlli alle rispettive frontiere. Gli stessi adottati da Germania, Francia e Austria, mentre in giro si moltiplicano muri e reticolati: sei per ora.

È evidente che nazionalismo, protezionismo, barriere fisiche e mentali non servono ma complicano la gestione di un problema che è almeno europeo. Come è evidente che la sua gestione collettiva, molto più che da un alato spirito di solidarietà (che non c’è più), dovrebbe essere dettata da un gretto interesse obiettivo, che accomuna tutti.

Invece non è così. Perché in tutta l’Unione, nei Paesi più ricchi del Nord come in quelli più chiusi dell’Est, dall’Ungheria alla Polonia e oltre, i riflessi europei nell’ultimo anno sono diventati evanescenti, gli egoismi soverchianti. L’economia che cresce poco e i disoccupati che non calano, poi, di certo non aiutano.

Perché, al di là di cecità e breve-termismo politico di molti governi, il teorema immigrazione è di difficilissima soluzione in quanto tende a mescolare in un unico calderone la fame di pace e di futuro di chi fugge la guerra e di chi cerca benessere, i grandi numeri dei nuovi arrivi con la tenuta delle strutture di accoglienza e la tutela dell’ordine pubblico, la complicità comprovata con il terrorismo e la criminalità, l’incontro-scontro tra società laiche e Islam.

E certo la notte da incubo del 31 dicembre a Colonia, con aggressioni a sfondo sessuale e furti da parte di un migliaio di arabi e nordafricani ai danni di un centinaio di donne tedesche, e gli episodi simili in formato minore avvenuti ad Amburgo e Stoccarda, non aiuteranno né la pacifica convivenza né la politica della porta aperta di Angela Merkel, appena scampata a metà dicembre alla rivolta del suo partito. «È una nuova dimensione del crimine» ha avvertito il capo della polizia di Colonia.

Pessimo auspicio per la stabilità sociale e politica in Germania come in Europa. «Nel 2016 è in gioco la coesione della nostra società, non dobbiamo farci dividere» aveva detto Merkel nel discorso di fine anno. Dopo Colonia potrebbe ricominciare anche il ballo sulla sua poltrona.

Comincia male questo 2016 che recapita subito all’Europa l’ennesimo certificato di ingovernabilità e impotenza collettiva, tra divisioni e incapacità di penetrare il buio oltre la siepe. Non comincia bene neanche per l’Italia, privata da un colpo di palazzo del suo esperto immigrazione nel gabinetto Juncker. Perché? Forse urge riflessione anche sul nostro modo di fare politica in Europa.

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