Commenti

Un messaggio all’America

  • Abbonati
  • Accedi
le analisi del sole

Un messaggio all’America

C’è una differenza tra le due crisi “geopolitiche” scoppiate all’improvviso in questo turbolento inizio del 2016. La pericolosa rottura delle relazioni diplomatiche tra Arabia e Iran si innesta su un “great game” che vede altre potenze su fronti diversificati o contrapposti.

Ma spicca l’unanimità - non solo formale - della condanna della nuova mossa di Pyongyang: dagli Stati Uniti alla Russia, dalla Cina al Giappone. Nessun Paese – tanto più se confinante – può vedere con favore la crescita esponenziale delle capacità offensive con armi di distruzione di massa di una nazione nelle mani di un giovane e imprevedibile dittatore. Significativa, in particolare, la chiara presa di distanza da parte di Pechino, alleato tradizionale ormai sempre più conscio degli inconvenienti di rapporti un tempo esaltati in quanto “forgiati nel sangue” della guerra di Corea.

A frenare eccessi di allarmismo ci sono sia i dubbi sul fatto che si sia trattato della detonazione di una bomba H sia la convinzione diffusa che occorrano ancora anni prima che il regime consegua progressi definitivi nelle capacità di miniaturizzare e lanciare a lungo raggio ordigni atomici. Una finestra temporale che però si sta restringendo pericolosamente.

Se l’Iran – il cui recente accordo con gli Usa tende a procrastinare il possesso di tecnologie belliche nucleari – nega comunque un obiettivo che spaventa il mondo, la Corea del Nord ha “costituzionalizzato” il suo status di Paese nucleare e mostra di voler accelerare al massimo il rafforzamento del proprio dispositivo potenzialmente offensivo.

I limiti della reazione della comunità internazionale ai precedenti test di Pyongyang rischiano di riproporsi nella perdurante inefficacia sostanziale di risoluzioni e sanzioni, ancorché rafforzate. Poiché è escluso che il Consiglio di Sicurezza possa autorizzare l’uso della forza – sia per la pericolosità estrema di chiudere in un angolo il dittatore dello Stato-eremita sia perché Pechino resta pur sempre interessata a evitare un crollo del regime – non devono sorprendere la reazione minimalista della Borsa di Seul (ieri -0,3%), e i proclami rassicuranti delle autorità finanziarie sudcoreane.

I mercati internazionali registrano, ma restano in allarme più per altri fattori. Certo che la “pazienza strategica” che definisce l’approccio statunitense viene messa a dura prova dal fatto che 3 dei 4 test nucleari nordcoreani siano avvenuti durante l’Amministrazione Obama: né le pressioni né il precedente “engagement” sembrano aver funzionato. Kim Jong-un entra nella campagna elettorale Usa soprattutto come argomento per i candidati repubblicani, interessati a enfatizzare la presunta debolezza dell’America di Barack Obama. Con i suoi azzardi, il leader nordcoreano rende praticamente impossibile quello che molti analisti si ostinano a ritenere come il suo fine ultimo, ossia un accordo che garantisca sicurezza al suo regime.

© Riproduzione riservata