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La Polonia sceglie il «modello ungherese»

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muri alle frontiere e dirigismo economico

La Polonia sceglie il «modello ungherese»

A prima vista non potrebbero essere più diversi tra loro, Jaroslaw Kaczynski e Viktor Orban. Kaczynski, schivo, grigio, anziano da sempre, cattolico radicale, governa la Polonia stando in disparte, lontano dalla ribalta, come un’entità astratta e superiore. Il secondo, Orban, brillante, a volte spavaldo, sorriso aperto e battuta pronta, comanda in Ungheria con il carisma innato del capopopolo.

Eppure tra i due sono molto più forti i punti di contatto che gli elementi di contrasto. Almeno se si esclude la Russia, grande alleato soprattutto nell’energia nucleare di Budapest ma grande “nemica” della Polonia di oggi.

Ad avvicinare Kaczynski e Orban - che sono incontrati nei giorni scorsi per sei ore a Niedzica, nel Sud della Polonia - sono il nazionalismo e il populismo, sventolati come bandiere e mescolati in contrapposizione a tutto quello che sta fuori dai confini della patria: che siano l’Unione europea, il Fondo monetario e la Russia, o più di frequente le grandi imprese straniere. A unire il leader polacco di Diritto e Giustizia che ha trionfato alle elezioni dello scorso ottobre e il premier ungherese che “regna” a Budapest da più di cinque anni, sono soprattutto i loro programmi di governo.

Seguendo il modello ungherese di Orban oltre, la Polonia di Kaczynski sta mantenendo le promesse della campagna elettorale: tasse per le banche, per le grandi catene della distribuzione, per le compagnie di telecomunicazione. Tasse quindi per le società non polacche a bilanciare la spesa sociale e le pensioni dei polacchi. Così – e con molte altre misure non sempre ortodosse – Orban ha in effetti rilanciato l’economia magiara. Per Kaczynski c’è invece il rischio di bloccare il percorso di sviluppo di un Paese che anche negli anni della grande crisi internazionale, con i governi di centro, è riuscito a evitare la recessione.

Esattamente come Orban, il nuovo governo ultra-conservatore di Varsavia ha preso fin da subito di mira i media, troppo critici nei confronti del potere, e la Corte costituzionale, baluardo istituzionale contro ogni deriva antidemocratica. Il presidente polacco, Andrzej Duda – una delle due grandi intuizioni di Kaczynski assieme alla nuova premier Beata Szydlo – ha firmato ieri la nuova legge che rafforza il controllo del governo sui mezzi di comunicazione. Un provvedimento controverso che ha spinto la Commissione europea ad aprire in dossier sulle condizioni dello Stato di diritto a Varsavia. Come accaduto con Budapest e la riforma della Costituzione, tuttavia, Bruxelles appare impotente e pur non avendo ancora ricevuto alcuna risposta alle richieste di chiarimento inviate, il presidente Jean-Claude Juncker ha già di fatto escluso che venga avviata una «procedura di infrazione».

Ungheria e Polonia si muovono assieme anche sulla questione dei rifugiati che arrivano ai confini dell’Unione. E se dal governo Orban dicono con enfasi che «all’Ungheria i migranti non servono» dopo aver eretto un muro al confine con la Serbia, anche a Varsavia è dichiarata la chiusura verso i profughi, soprattutto se non cristiani. «Orban ha dovuto insistere un anno per strappare il controllo della Corte costituzionale ungherese, mentre a Kaczynski sono bastate due settimane. Quello che abbiamo oggi qui è Budapest, a velocità molto maggiore», dice Grzegorz Schetyna, il nuovo capo dell’opposizione in Parlamento dai banchi di Piattaforma civica. Ed è questo l’obiettivo di Kaczynski che negli anni scorsi, guardando con invidia alle maggioranze solidissime conquistate da Orban, ripeteva ai suoi: «Arriverà il giorno in cui anche noi trionferemo e quel giorno avremo Budapest a Varsavia».