Commenti

Liberalismo di popolo e anima intellettuale

  • Abbonati
  • Accedi
valerio zanone (1936-2016)

Liberalismo di popolo e anima intellettuale

Tra pochi giorni, Valerio Zanone (nella foto)avrebbe compiuto ottanta anni: ne aveva quaranta quando era stato eletto Segretario generale del Pli. La parola “rottamazione” allora non usava, ma l’esigenza di rinnovamento di quel partito era ugualmente urgente. E, per l’appunto, «Rinnovamento» si chiamava la corrente che Zanone aveva fondato e che, alleata con quella più radicale, «Presenza liberale», avrebbe posto fine alla lunga, controversa (e oggi da rivisitare) leadership di Giovanni Malagodi.

Laureato in filosofia, Zanone era, prima di tutto, un intellettuale, formatosi alla scuola di Luigi Pareyson e del liberalismo piemontese che, come egli amava ricordare, era anche liberalismo di popolo, tanto forte era il radicamento in quelle zone. A quel liberalismo Zanone non cessò mai di ispirarsi, individuandovi una duplice linea di orientamento politico: «La tradizione governante del Partito liberale quale partito dello Stato, della libera economia e della pubblica amministrazione: la sola tradizione grande e durevole di governo laico di cui disponga la storia nazionale. E la consapevolezza di appartenere a una minoranza, di essere chiamati ad una funzione critica nei confronti dei populismi prevalenti». Parole queste scritte, con impressionante preveggenza, ancora nel 1987 per il Centro Einaudi di Torino.

Al Centro Einaudi, una fucina di pensiero e di classe dirigente liberali, voluta da Fulvio Guerrini, Zanone si era formato: cominciando ad approfondire la tematica del regionalismo (e il suo primo incarico elettivo, fin dal 1970, sarebbe stato quello di Consigliere regionale del Piemonte), e collaborando all’impegno di due giovani e brillanti imprenditori torinesi, Renato Altissimo ed Enrico Salza, per rendere il sistema confindustriale coerente con le esigenze di un capitalismo moderno. Zanone non avrebbe mai abbandonato il gusto della riflessione, affidata anche ai tanti articoli scritti per questo giornale.

La sua leadership al Pli non fu facile: appena eletto, alle elezioni politiche l’ammonimento montanelliano «Turatevi il naso, ma votate Dc» (per evitare il successo del Pci, che pareva ormai irreparabile), fu puntualmente seguito da molti moderati, riducendo al lumicino la rappresentanza parlamentare liberale, assicurata proprio dalla fiducia di Torino in Zanone, che sarebbe poi tornato sei volte in Parlamento. Dopo il ’76, la stagione del compromesso storico, che vide il Pli all’opposizione, assicurò al partito visibilità e opportunità per riformulare una piattaforma politica più in linea col liberalismo contemporaneo, piuttosto spostato a sinistra (ne era espressione pop il premier canadese Trudeau senior); ne seguirono grandi polemiche nel partito, che portarono anche a distacchi dolorosi, come quello di Manlio Brosio. Erano gli anni di Reagan e della Thatcher, che a Zanone non piacevano, come in seguito non gli sarebbe piaciuto Berlusconi; se mai, il suo interesse andava alla prospettiva del lib-lab, da realizzare con Bettino Craxi. Zanone non temeva di annacquare in tale prospettiva il proprio liberalismo, ma vi individuava la possibilità di costruire un punto di incontro tra le due culture che ai suoi occhi consisteva «in una concezione laica, non dogmatica e non confessionale, dell’attività politica come attività pragmatica animata da valori immanenti».

Lo aveva già detto al Congresso del Pli nel 1976: «Al centro della nostra visione politica si colloca l’idea che dalla fine del secolo scorso ha costituito il fondamento politico del riformismo liberale, e che costituisce il riferimento ideale che pure collega, al di là di tante diversità, il liberalismo con il socialismo». Abbandonata la segreteria del Pli, nel 1985, Zanone intraprese una carriera ministeriale all’Ambiente, alla Difesa e all’Industria: qui insediò la commissione dalla quale sarebbe nata la legislazione antitrust italiana; successivamente fu sindaco di Torino. La fine della Prima Repubblica travolse anche il Pli, coinvolto anch’esso (ma mai Zanone) nelle tristi vicende di Mani Pulite. Sparito il Pli dalle aule parlamentari, l’impegno di Zanone sarebbe continuato nel centro-sinistra per adempiere a quella che riteneva la sua ultima missione: mantenere viva una scintilla liberale nelle istituzioni, rifiutando di consegnarne l’eredità al centro-destra allora in auge.

© Riproduzione riservata