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I big reggono, i 5 Stelle in affanno

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PROMOSSI E BOCCIATI

I big reggono, i 5 Stelle in affanno

Non è il voto della rete ma dei cittadini. E non arriva alla sufficienza. Se c’è una novità nell’ultima edizione del sondaggio sul gradimento dei sindaci è che per la prima volta comincia a maturare un giudizio sui 5 Stelle e su come governano le città conquistate nelle ultime elezioni comunali. Città simbolo come Livorno, strappata alla tradizione di sinistra, e città tormentate come Ragusa, dove il Movimento aveva creato l’aspettativa di una “rivoluzione”, lì e in tutta la Sicilia. E invece pare sia bastato un anno, al massimo due, per vedere già le rughe su quel manifesto del cambiamento predicato a Roma e altrove.

Sia Filippo Nogarin da Livorno che Federico Piccitto da Ragusa si trovano verso il fondo della classifica, con consensi più persi che guadagnati. Troppo banale dire che la sfida dei problemi e il confronto con la realtà sono uno specchio amaro per tutti, pure per i grillini, ma così sta andando. Né serve l’argomentazione che si è sentita dire da Nogarin alle prese con il caso-rifiuti e cioè che i problemi c’erano prima di lui, creati da chi lo aveva preceduto. Scusa anche questa banale, visto che ormai in Italia ovunque si governi - da Palazzo Chigi, dal Campidoglio o da Livorno - si deve fare i conti con un passato che ha scaricato problemi sul presente. E doppiamente banale perché contraddice l’esistenza stessa del Movimento, nato e cresciuto proprio perché chi c’era prima di loro ha deluso, e molto.

E dunque questa insoddisfazione che ora comincia a maturare è l’ostacolo più grande alla corsa verso le prossime amministrative che molti davano già vinte da Grillo. Invece il logoramento prodotto dal semplice governare affiora e diventa l’opportunità di attacco per il Pd. Da Quarto a Livorno, si sta disegnando la prima strategia per la campagna elettorale del voto di giugno.

È singolare che nel giro di qualche settimana si vedano i due potenziali duellanti per il ballottaggio agire a parti inverse: il Pd all’attacco, il Movimento sulla difensiva. Fatti di cronaca, come le inchieste di camorra a Quarto che hanno travolto l’amministrazione grillina, ma anche questi primi bilanci sulle amministrazioni cittadine – documentati dal sondaggio - stanno invertendo il registro comunicativo dei due sfidanti. Il Pd di oggi trova uno spiraglio inatteso dopo il disastro di Roma, dopo le guerre tra fazioni del Pd sui territori, la confusione a Napoli, il match a Milano tra Giuseppe Sala e Francesca Balzani.

Le prove di governo del Movimento restituiscono allo scontro armi pari che prima non c’erano. Prima c’erano i partiti propriamente detti e il Movimento di Grillo: i primi (Pd e centro-destra) già logorati da varie esperienze di governo nazionale e locale e i secondi freschi di voto e di opposizione, carichi di promesse e sguarniti di decisioni. Ora le decisioni dei grillini ci sono, si vedono, i cittadini le pesano. E non va bene.

Certo, c’è Federico Pizzarotti che si mantiene a metà classifica ma ormai è considerato un outsider del Movimento. E si potrà anche dire che è troppo presto giudicare dopo un anno o due di governo, ma adesso si apre la campagna elettorale e questi primi bilanci “a 5 Stelle” contano nella lotta per le amministrative di giugno.

Una gara per niente facile, tant’è che Matteo Renzi l’ha scansata, ha detto di considerare un test nazionale solo il referendum sulla riforma costituzionale che si terrà a ottobre prossimo proprio per evitare l’amaro calice della sconfitta nelle città. C’è Roma come sfida Capitale, ma in questo sondaggio è assente: senza sindaco, con un commissario, non ha un gradimento da misurare, ma il disastro è evidente ed è tutto a carico del Pd. E poi c’è Napoli con Luigi De Magistris che scivola verso il basso con quasi 15 punti di consenso persi in questi 5 anni, ma con il grande vantaggio di un Pd allo sbando nella città. E poi c’è Milano, dove Giuliano Pisapia ha riguadagnato consensi dopo le ultime prove dell’Expo, della riscossa civica. E Torino che diventa emblematica nella figura di Piero Fassino, politico di professione, ex segretario, ex ministro e tuttavia non rottamato né dal partito né dai cittadini che addirittura dopo 5 anni di governo gli danno 3 punti di gradimento in più. Il suo caso smentisce tutta la storia che in questi ultimi tempi la nuova politica ha voluto raccontare.

Uno stesso linguaggio che ha messo accanto Renzi e Grillo nel prospettare una realtà che poteva essere cambiata e migliorata semplicemente cancellando le facce di prima. Un modo simile di dialogare con gli elettori dando l’illusione di un prima e di un dopo, di un avanti-Renzi o di un dopo-Grillo come se con le facce si rottamassero pure i problemi. E invece le città sono più lineari e trasparenti nel mostrare che la complessità di governare non è schematica e non corre sull’asse vecchio/nuovo ma sulle capacità di ciascuno. E dunque alla prova di governo in pochi reggono. Reggono i big Piero Fassino e Giuliano Pisapia, regge il sindaco di Firenze Dario Nardella che era stato accanto a Renzi in città, regge Massimo Bitonci sindaco leghista di Padova. L’esperienza sembra premiata più delle folate di rivoluzione e Luigi De Magistris scivola in basso. E si tiene in vetta Luigi Brugnaro, sindaco di Venezia, l’uomo senza targhe di partito che ha riacceso una fiammella nel centro-destra, oggi ancora a corto di idee e di candidati per il prossimo voto. Un modello che il Cavaliere vorrebbe replicare a Roma con Alfio Marchini, ma la presa dei partiti sulla Capitale è ancora forte.

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