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Perché non siamo al 2008

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Scenari

Perché non siamo al 2008

La grande crisi finanziaria era scoppiata nel 2008 per colpa dell’eccesso di debito. Non infonde dunque serenità constatare che oggi, a livello globale, i debiti siano ancora più giganteschi di allora: stima McKinsey che già nel 2014 fossero 57mila miliardi di dollari in più rispetto a fine 2007. Il fardello maggiore non grava oggi sulle spalle delle famiglie americane, come allora, ma su quello delle imprese cinesi o brasiliane: si è dunque spostato geograficamente, ma non ha ridotto il suo peso a livello globale. Anzi, l’ha aumentato. Così oggi, di fronte alla bufera in Cina, la domanda è legittima: siamo all’alba di una nuova crisi sistemica globale? Siamo - come ha detto il finanziere George Soros - tornati nel 2008? Insomma: la Cina e i Paesi emergenti iper-indebitati sono i nuovi «mutui subprime» del mondo? I nuovi «virus» per finanza ed economia globale?

Nessuno ha la sfera di cristallo, ma prima di cercare le risposte bisogna chiarire un punto: oggi - rispetto al 2008 - ci sono almeno due differenze sostanziali che riparano il mondo. La prima riguarda le banche centrali: quasi tutte le principali hanno oggi una politica monetaria ultra-espansiva, mentre a quei tempi erano in una fase ben più restrittiva. Questo, in un mondo oberato dai debiti, fa una grossa differenza. Se le banche centrali alzano i tassi d’interesse e restringono la liquidità, come accadde negli Stati Uniti prima della crisi del 2008, strozzano chi ha troppi debiti. Se invece tengono i tassi bassi e aumentano la liquidità, come avviene ora in molte parti del mondo, non li strozzano. Oggi i pericoli sono dunque meno imminenti rispetto al 2008 per via, banalmente, del diverso ciclo economico e monetario.

Persino la Fed, che invece ha già iniziato a rialzare il costo del denaro, in un contesto di bassa inflazione può decidere di fermarsi o di invertire la rotta. Questo rende i debiti globali meno preoccupanti oggi. C’è poi un’altra grande differenza rispetto al 2008: da allora sono state partorite a livello internazionale circa 200 normative (la stima è di Boston Consulting) per regolamentare e ridimensionare le banche. Il sistema bancario globale è dunque oggi meno fragile di allora e più capitalizzato. Queste due differenze fanno sperare che, rispetto al 2008, oggi una crisi sistemica sia più difficile. O, quantomeno, più lontana.

Ma questo non significa che, nonostante i forti scudi che oggi ci riparano, non ci siano rischi. Probabilmente gestibili, per ora. Ma da monitorare per gli anni futuri. Perché con il 2008 ci sono anche tante - troppe - analogie. La prima è proprio quella del debito. A quei tempi le famiglie americane si erano esposte eccessivamente con le banche, perché i tassi d’interesse erano stati bassi per anni prima di salire. Questa volta i tassi d’interesse Usa sono stati ancor più bassi e la Fed ha stampato oltre 3mila miliardi di dollari: l’enorme quantità di denaro “facile” è però finita in buona parte nei bilanci delle aziende dei Paesi emergenti, che negli ultimi anni hanno trovato finanziamenti a tassi convenienti. Calcola l’Fmi che dal 2004 al 2014 il debito delle imprese di questi Stati sia passato da 4mila a 18mila miliardi di dollari. In Cina - stima Fitch - il debito complessivo (principalmente privato) è arrivato al 196% del Pil a settembre 2015. Il problema è che una grossa fetta di questo fardello è denominato in valuta estera e - calcolava l’IIf qualche mese fa riferendosi ai soli bond - solo il 30% è “assicurato” contro il rischio cambio. Insomma: un problema enorme.

A questo punto bisogna capire se i rischi siano confinati nei Paesi emergenti o se siano globali. Oggi è certamente ridimensionato il meccanismo perverso delle cartolarizzazioni, che nel 2008 portò i mutui infetti americani in giro per il mondo: questo fa ben sperare. Ma è anche vero che i canali di possibile contagio dai Paesi emergenti sono tutt’ora molti, sul fronte economico, commerciale e creditizio. Guardiamo solo quest’ultimo: secondo i dati della Bri, le banche dei Paesi Ocse dal 2007 ad oggi hanno quasi quadruplicato l’esposizione sulla Cina (da 219 miliardi di dollari a 762) e hanno quasi raddoppiato quella sui Paesi asiatici (da 1.181 miliardi a 2.076). Gli effetti di questa esposizione già si vedono: proprio pochi giorni fa il colosso bancario Hsbc è stato declassato dagli analisti azionari di JP Morgan perché - stime loro - potrebbe raddoppiare i crediti in sofferenza proprio in Asia da 2,2 miliardi di dollari di giugno a 5,4 di fine 2015.

Ma il problema questa volta non è tanto rappresentato dalle banche. Il nodo vero sta nel sistema bancario “ombra”: quell’enorme magma di fondi, società finanziarie e investitori vari che - con regole molto più blande - in questi anni hanno erogato credito sotto varie forme anche a tante aziende dei Paesi emergenti. Si tratta di un mondo che vale 137mila miliardi di dollari a livello globale: di questi, secondo l’ultima ricerca del Financial Stability Board, almeno 36mila miliardi di dollari «potrebbero porre rischi alla stabilità finanziaria».

Potrebbe lo «shadow banking» diventare un pericolo sistemico come lo fu Lehman Brothers nel 2008? Qui entriamo in un terreno inesplorato e di difficile lettura. Non giova però il fatto che i mercati obbligazionari (su cui queste banche «ombra» spesso si muovono) siano ormai quasi completamente «in secca»: dato che le banche d’affari partecipano molto meno all’attività di compra-vendita (perché le nuove regole rendono l’attività di market making onerosa), è sempre più difficile vendere i bond prima della loro scadenza. Soprattutto quelli aziendali. Questo è il paradosso: in un mondo pieno di liquidità, i mercati secondari sono illiquidi. Così, se un giorno scoppiasse una crisi di fiducia, molti fondi faticherebbero a vendere i titoli che hanno in portafoglio.

Ricapitoliamo, dunque: oggi possiamo stare relativamente tranquilli perché regole e banche centrali hanno reso il mondo occidentale meno vulnerabile rispetto al 2008. Ma se nei prossimi mesi e anni non si farà qualcosa di serio per ridurre i debiti nei Paesi emergenti, per regolamentare il sistema bancario «ombra» e per ridimensionare i grandi squilibri globali, presto o tardi il 2008 potrebbe tornare. Il quantitative easing non può durare in eterno: quando la marea di liquidità verrà ritirata, sarà bene che tutti abbiano rimesso il costume.

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