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Il franchising del Califfato

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la mappa della jihad

Il franchising del Califfato

L’arco del terrore arriva a Giacarta: esaltati dalla propaganda dell’Isis, i terroristi che hanno colpito nella capitale indonesiana volevano emulare gli stragisti di Parigi.

In Asia, i movimenti integralisti islamici hanno radici profonde e autoctone, sulle quali il Califfato esercita la sua forza d’attrazione, rinfocolando fenomeni più o meno latenti e galvanizzandoli nel franchising della jihad globale. Per molti gruppuscoli, l’affiliazione è già un risultato strategico, grazie alla visibilità che garantisce.

Le agenzie di intelligence di Indonesia, Malesia, Singapore e Filippine stimano in circa un migliaio le persone che hanno lasciato i quattro Paesi per unirsi all’Isis in Siria e in Iraq. Le cifre sono incerte, ma la maggioranza, circa 700, arriverebbe dall’Indonesia. Tra loro ci sarebbero però anche donne e bambini. La porta d’ingresso per la Siria, secondo l’intelligence indonesiana, sarebbe la Turchia. Almeno 30 gruppi in attività in Malesia, Indonesia e Filippine avrebbero giurato fedeltà al Califfato.

Fino a ieri, gli episodi di terrorismo erano rimasti su scala ridotta. Già a maggio, tuttavia, il premier di Singapore, Lee Hsien Loong, aveva avvisato che il Sud-Est asiatico stava emergendo come un «centro di reclutamento chiave» sotto la regia di Katibah Nusantara, lo squadrone creato dall’aggregazione dei militanti malesiani, indonesiani e filippini in Iraq e in Siria. Katibah Nusantara (Unità di combattimento dell’arcipelago malese) si è fatta notare per alcune operazioni militari nell’aprile del 2015 contro i curdi. È guidata dalla Siria da Bahrum Syah, proveniente dalle fila di Jemaah Islamayah (Ji), l’organizzazione responsabile dei più sanguinosi attentati in Indonesia, smantellata dopo il 2009 dalle forze di sicurezza. Per il premier di Singapore, però, «la minaccia non è più lontana, ma è qui». L’Isis «potrebbe arrivare a porre sotto il proprio controllo una porzione di territorio, come in Siria». Proprio attraverso i legami di Katibah Nusantara con i gruppi locali.

Daesh ha del resto dichiarato di voler creare nel Sud-Est asiatico una provincia del Califfato, anche se la gerarchia dell’armata relega i musulmani asiatici in secondo piano. Secondo un report al quale hanno collaborato l’Mi6 britannico, la Cia e alcuni servizi arabi, all’interno dell’Isis, asiatici e africani sono considerati «inferiori ai combattenti arabi», meno devoti e motivati, pertanto pagati meno e usati come carne da cannone. L’Islam asiatico viene considerato un’apostasia.

L’attentato a Giacarta non cade come un fulmine a ciel sereno nell’area. Da mesi la Malesia lancia allarmi. Secondo le autorità, l’Isis punterebbe a infiltrare istituzioni e società civile, incluse università, forze armate e partiti politici. In aprile, è stata smantellata una cellula che pianificava attacchi contro esercito e polizia. Il leader sarebbe un ex membro di un gruppo terroristico malese, addestrato in Afghanistan e passato per la Siria, prima di tornare in Malesia. Tra i militanti ci sarebbe anche un ex membro della Jemaah Islamiyah indonesiana. A settembre, gli Stati Uniti avevano diramato un allarme specifico su Kuala Lumpur che portò alla cattura di alcuni sospetti. In tutto, le autorità hanno arrestato 150 militanti, dal febbraio 2013, 15 di loro erano appartenenti alle forze armate. Solo qualche giorno fa, due kamikaze malesiani si sono fatti esplodere in Siria e Iraq.

Le Filippine convivono da anni con l’incubo Abu Sayyaf, il gruppo estremista islamico emerso a metà degli Anni 90 come sottoprodotto della ribellione musulmana che ha causato 120mila morti. Il gruppo più agguerrito della regione, che fa base nel cuore della giungla delle isole Jolo e Basilan, sembra però essersi trasformato in un’organizzazione criminale dedita a rapimenti e traffico di esseri umani. Anche se l’offensiva governativa ne avrebbe ridotto i ranghi a qualche centinaio di militanti, Abu Sayyaf rappresenta l’affiliato perfetto per l’Isis e nel 2013 i suoi leader hanno giurato fedeltà al Califfo. La stessa cosa ha fatto Bangsamoro islamic freedom movement, che ha base a Mindanao.

Secondo Rohan Gunaratna, capo dell’International centre for political violence and terrorism research a Singapore, l’Isis si starebbe preparando a costituire una propria provincia in Asia e le Filippine sarebbero il candidato ideale. «A breve - afferma Gunaratna - l’Isis dichiarerà un satellite del Califfato nell’arcipelago delle isole Sulu», che fa da ponte tra Mindanao e il Borneo. Con conseguenze destabilizzanti per tutta la regione.

Dopo le Filippe, l’altro luogo prescelto sarebbe proprio l’Indonesia, secondo Gunaratna, dove il Mujihideen Indonesia Timur (Mit) sfida la repressione delle forze di sicurezza dalla giungla equatoriale dell’isola Sulawesi. L’intelligence considera il gruppo guidato da Santoso parte del network del Califfato.

Dal Sud-Est asiatico all’Asia meridionale: bloggers, scrittori, turisti, poliziotti, sciiti e cristiani sono i bersagli dell’integralismo sunnita in Bangladesh. Anche qui l’Isis aspira a piantare il proprio vessillo: «La rinascita del jihad nel Bengala» è il titolo di un articolo di recente apparso sulla sua rivista Dabiq. Il rischio maggiore per il Paese, secondo alcuni osservatori, arriverebbe però dal fatto che il Governo si rifiuta di riconoscere la minaccia: mentre la polizia attribuisce ormai oltre una dozzina di attentati all’Isis, l’Esecutivo preferisce mettere nel mirino i suoi oppositori politici in campo islamico.

L’Isis non sembra invece aver fatto ancora breccia in India, che in passato ha subito pesanti attentati di matrice islamista organizzati in Pakistan. I servizi di sicurezza contano però almeno 23 indiani tra le fila dell’”esercito nero” in Siria e in Iraq.

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