Commenti

L’assalto alla democrazia

  • Abbonati
  • Accedi
gli obiettivi

L’assalto alla democrazia

Volendo accontentarsi, questo terrorismo così planetario ha una caratteristica consolatoria: colpisce con “equanimità”. I francesi e i loro rivali di sempre, i belgi; la solare California e la gelida Boston.

Destabilizza i paesi alle frontiere del grande caos, come Tunisia, Turchia, Libano, Giordania, Kuwait; e quelli molto più distanti come l’Indonesia, in un altro contesto geopolitico ed economico, radicalmente diverso. Di ogni attacco e per ciascun luogo, si possono dare spiegazioni tecnicamente razionali. L’Indonesia è per popolazione il più grande paese musulmano. Ma dei suoi 250 milioni di abitanti, solo il 73% sono islamici. Ci sono anche cristiani, hindu, buddhisti e confuciani. Dopo decenni di dittatura, ha conquistato una democrazia la cui liberalità religiosa dimostra di avere assimilato la tradizionale tolleranza indiana e il laicismo mercantile cinese. Un modello che non è stato intaccato dalla presenza autoctona di uno dei peggiori movimenti terroristici religiosi: la Jemaah Islamiyah che ha già compiuto numerosi attentati in Indonesia e in altri paesi dell’Estremo Oriente. L’Indonesia è anche uno dei migliori casi mondiali e regionali di crescita economica. Questa e la sua democrazia - alle ultime elezioni i partiti religiosi estremi sono stati pesantemente sconfitti - dimostrano che non c’è incompatibilità fra Islam, sviluppo economico e democrazia. Lo conferma anche la vicina Malaysia. Il problema è forse più l’incapacità araba di saper creare un modello statale moderno e funzionale. In questo caso contano più il tribalismo e la corruzione, che la fede.

Tuttavia, interessano queste considerazioni ai terroristi che ieri mattina hanno scatenato una piccola guerra a Giacarta? Volevano specificatamente colpire la democrazia, la tolleranza religiosa, il successo economico dell’Indonesia? A Hurgada miravano all’economia egiziana fondata come quella tunisina sul turismo? E in Francia alla qualità della vita e alla felicità intrinseca dei giovani parigini? Probabilmente a niente di tutto questo e a tutto. È ciò che terrorizza la popolazione di mezzo mondo. Ma sfortunatamente il terrorismo non è una grande novità. C’è stato quello nero e quello rosso. I milanesi con qualche anno di età ricordano nitidamente la paura e lo smarrimento il 12 dicembre del 1969, quando esplose la bomba in piazza Fontana. Come i bolognesi la strage alla stazione, il 2 agosto 1980. C’è stato il terrorismo palestinese, disperato ma non meno folle: il suo autolesionismo ricorda quello del Pkk curdo che ieri in Turchia è tornato a colpire nel momento e nei modi più sbagliati. Restando alla matrice islamista, già negli anni Novanta i terroristi algerini del Gia avevano colpito la metropolitana di Parigi. Nel decennio successivo, dopo l’11 Settembre, ci sono stati gli attentati alla stazione di Madrid e alla metropolitana di Londra. Anche quando l’Isis sarà sconfitta militarmente sul campo in Siria e Iraq - non sappiamo quando ma prima o poi accadrà - il terrorismo non cesserà. Indipendentemente dalla soluzione o dall’aggravarsi dello scontro di civiltà, delle ingiustizie economiche, dell’integrazione, ci saranno sempre “motivi” per colpire la corrente maggioritaria di ogni società civile e gruppi pronti a uccidere comunque.

Le metodologie dell’Isis sono più palesemente sanguinarie ma sostanzialmente ortodosse: bombe, morte, individui o piccoli gruppi suicidi. La novità, la sua forza principale, non è tanto quella di essersi data una dimensione territoriale, ma di sapersi vendere: il web, più della presenza quasi statale, fisica di un califfato. È la pubblicità, la cura dell’immagine oltre il messaggio, che gli ha permesso, come una multinazionale, di assorbire, conglomerare e alleare prima al Qaeda e poi le altre organizzazioni locali. Di avere alla fine un brand globale che nessun altro terrorismo ha avuto.

© Riproduzione riservata