Commenti

L’immigrazione e il brusco risveglio

  • Abbonati
  • Accedi
L’EUROPA DOPO COLONIA

L’immigrazione e il brusco risveglio

Ci sono voluti i fatti di Colonia, con centinaia di donne molestate e derubate da migranti e rifugiati, per aprire gli occhi, prima ancora che all'opinione pubblica, alle autorità dei paesi europei.

Prima di Colonia, la lettura dei problemi posti dall'ondata migratoria e dalla tragedia dei profughi era largamente buonista, e le parole d’ordine di politici, media, intellettuali erano prodigiosamente sincronizzate su un unico registro, quello che si potrebbe definire il “pensiero unico dell’apertura”: accoglienza, solidarietà, aiuto, tolleranza, integrazione, diritti umani. Oggi non più. Oggi, per la prima volta da molti anni, di immigrazione si sta tornando a parlare abbastanza liberamente anche in pubblico, ovvero nei templi della politica, dell’informazione e della cultura ortodosse.

E questo improvviso cambiamento, è il caso di sottolinearlo, non è coinciso con il doppio assalto dell’Isis a Parigi («Charlie Hebdo» e Bataclan, gennaio e novembre 2015), ma con i fatti di Colonia (1° gennaio 2016). Come mai?

La ragione è molto semplice. Fra i capisaldi del pensiero unico dell’apertura vi è un totem più totem di tutti gli altri: la difesa delle minoranze, un atteggiamento che sfiora la venerazione per minoranze speciali come le donne, gli immigrati, gli omosessuali, gli islamici, i “diversi” in genere. Il guaio di Colonia è che, questa volta, una minoranza speciale, fatta di immigrati economici e richiedenti asilo, anziché recare offesa a cittadini comuni ha avuto la pessima idea di prendere di mira un’altra minoranza speciale, quella delle donne (tedesche, in questo caso). Un errore che, su più piccola scala, si è ripetuto nei giorni scorsi di nuovo in Germania, dove le molestie (in una piscina pubblica) di alcuni rifugiati nei confronti di cittadine tedesche hanno indotto le autorità a vietare l’accesso dei rifugiati stessi alla piscina. Di qui il brusco risveglio non solo dell’opinione pubblica e dei media, ma anche di una parte dell’intelligentsia progressista, improvvisamente privata della possibilità di minimizzare, reinterpretare, e in definitiva girare la testa dall’altra parte.

In una recente intervista al quotidiano «La Stampa», la scrittrice e filosofa francese Élisabeth Badinter, femminista e non certo accusabile di xenofobia, non solo ha denunciato la timidezza delle autorità e dei media, a suo parere più preoccupate di difendere la reputazione degli immigrati che il diritto delle donne alla sicurezza, ma ha messo assai bene a fuoco qual è il nodo politico-culturale che i fatti di Colonia hanno portato alla ribalta: il discorso pubblico, nelle nostre evolute società occidentali, è imbavagliato dal timore di favorire la destra xenofoba e razzista. Secondo la Badinter, per il nobile scopo di frenare l’estrema destra e non alimentare il razzismo “si finisce per tacere”, o per “camuffare la verità”, senza rendersi conto che “a nutrire un riflesso estremista e xenofobo sono anche il silenzio e gli imbarazzi”. Di qui la pavidità dei progressisti, intimiditi dalla mera possibilità di essere accusati di islamofobia, con il risultato che “vengono confinate nel silenzio persone di buona volontà che vogliono poter criticare tutte le idee, comprese le religioni”.

Da questo punto di vista, quello del diritto alla critica e al libero pensiero, c’è solo da sperare che i fatti di Colonia rendano tutti un po’ più coraggiosi e “aperti”, non solo verso l’altro ma anche verso la molteplicità del reale. Sarebbe bello che, in materie cruciali per la vita comune (come sicurezza, religione, libertà), la curiosità prevalesse sul desiderio di difendere le proprie credenze, quale che sia la natura di queste ultime. Una buona causa non dovrebbe mai essere un motivo per nascondere, deformare, o capovolgere la verità. In materia di immigrazione, criminalità, terrorismo, religione, le credenze dettate dalla paura e dall’ideologia hanno uno spazio enorme, mentre ben poca attenzione viene riservata all’accertamento dei fatti, anche dei più elementari e “basici” (ovvero necessari per formarsi un’opinione fondata). Forse, prima di dilaniarci sui dilemmi etici, rispetto ai quali chiunque pensa di potersi erigere a legislatore delle coscienze, faremmo bene a tornare, più umilmente, a raccontare i fatti e, quando i fatti e i collegamenti fra fatti non sono chiari, a farci domande vere. L’Europa che tutto monitora e misura, ad esempio, ben poco sa del nesso fra criminalità e immigrazione, che pure tante passioni suscita nell’opinione pubblica e nel dibattito politico. La nostra conoscenza delle situazioni di fuga e dei teatri di guerra in Africa e nel Medio Oriente è poco più che folcloristica. Per non parlare del presunto legame fra povertà e terrorismo, su cui le esternazioni morali si sprecano e le analisi scientifiche scarseggiano, e comunque pochissimo interessano la politica e i media.

Anche su questo la Badinter ha pienamente ragione: se i movimenti estremisti avanzano in Europa, è anche per reazione a una lunga stagione di silenzio, conformismo e pavidità, in cui l’imperativo dell’apertura ha finito per offuscare il bisogno di verità.

© Riproduzione riservata