Se noi italiani - noi che nel 2015 abbiamo aumentato il consumo di petrolio - esprimeremo il nostro parere in numero sufficiente a superare il quorum, e se voteremo in maggioranza per il sì, allora il referendum contro le perforazioni petrolifere nelle acque territoriali potrebbe fermare tre grandi giacimenti. Potrebbero frenare e fermarsi il giacimento Guendalina (Eni) in Adriatico, il giacimento Rospo (Edison) di fronte all’Abruzzo e il giacimento Vega (Edison) nel canale di Sicilia di fronte alla costa ragusana.
Invece, qualunque sarà l’esito del referendum non dovrebbero esserci effetti su altri programmi di investimento petrolifero in mare come i giacimenti siciliani Argo e Cassiopea al largo di Gela , giacimenti il cui sviluppo è correlato con il futuro del petrolchimico di Gela, né sulle prospettive di ricerca nelle zone più profonde dello Ionio o al largo della Sardegna, dove i geologi assicurano che potrebbero esserci riserve importanti ma non ancora misurate. Questi bracci di mare sono nella zona di interesse economico italiano ma si trovano in acque internazionali, oltre la distanza di 12 miglia (circa 22 chilometri dalla costa).
L’ipotesi di rigettare i progetti
Con ogni probabilità il Governo non farà ricorso a ritocchi normativi nel tentativo di evitare la consultazione dei cittadini. Più facilmente sarà fatta attenzione alla data del referendum, il quale potrebbe sommarsi con le elezioni amministrative di primavera o con il referendum costituzionale previsto in autunno.
Dal punto di vista pratico, l’intenzione del Governo parrebbe il blocco di tutte le richieste aperte di autorizzazione petrolifera, rigettandole, a cominciare dal contestatissimo giacimento Ombrina Mare, a pochi chilometri dalla costa abruzzese. A medio termine la questione verrà risolta quando, in futuro, si aprirà la partita del cosiddetto Titolo Quinto della Costituzione, il quale assegna alle Regioni un potere decisionale forte sul tema energetico.
Braccio di ferro con le Regioni
Proprio dalla divergenza sulle strategie energetiche fra il Governo centrale e le Regioni nasce il referendum contro l’uso dei giacimenti nazionali di metano e petrolio.
Il decreto Sblocca Italia l’anno scorso aveva rimescolato le carte delle competenze, assegnando allo Stato più potere sullo sfruttamento delle risorse nazionali. Tra i vari aspetti, il decreto introduceva una pianificazione strategica ambientale — molto innovativa — per esaminare subito con i cittadini e le loro rappresentanze (Regioni, enti locali, associazioni) quali aree del Paese hanno delicatezze tali da essere escluse da ogni uso delle risorse del sottosuolo.
Apriti cielo. Imbufalite, dieci Regioni in autunno hanno presentato la richiesta di referendum. Compatti contro queste norme i consigli regionali di Abruzzo, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Marche, Molise, Puglia, Sardegna, Veneto. Invece si sono tenute ben lontane dal chiedere un referendum antipiattaforme due Regioni ad altissima perforazione, l’Emilia Romagna e la Sicilia.
Il problema è il consenso degli elettori, per non perdere il quale molti politici cercano di non farsi scavalcare dalla protesta anti-trivelle e dai movimenti politici che la appoggiano. Anche il Governo ha preferito fare marcia indietro e in dicembre ha inserito nella Legge di Stabilità un emendamento che accoglieva completamente le richieste delle Regioni, annullandone in apparenza i motivi di referendum. In apparenza. La Corte di cassazione ha analizzato la Legge di Stabilità e ha visto che uno dei quesiti restava valido; la settimana scorsa la Corte costituzionale ha confermato il dubbio della Cassazione e ha deciso: al voto.
Che cosa voteremo
Dei sei originari, il quesito referendario sopravvissuto è debolissimo nei contenuti ma forte nella valenza politica ed emotiva. Il quesito come sempre è incomprensibile e basato sulla citazione di commi e articoli, ma tradotto ci chiede: volete voi italiani che i giacimenti nelle acque territoriali, quando scadranno le loro concessioni, vengano fermati anche se sotto c’è ancora tanto gas o petrolio?
Il tema rilevato dai magistrati della Cassazione e della Consulta è la durata delle concessioni. Nella Legge di Stabilità per i giacimenti già in corso d’opera entro le 12 miglia dalla costa la concessione è allungata per tutta la vita utile del giacimento. Molti giacimenti sono ancora ricchi di risorse ma erano stati perforati decenni fa quando le tecnologie erano meno efficaci: chiedendo il permesso e investendo in nuove tecnologie, la vita utile del giacimento potrebbe essere assai interessante. E sono questi i progetti messi a rischio dal quesito referendario, cioè gli storici giacimenti Guendalina, Rospo e Vega che hanno ancora risorse da sfruttare ma per i quali s’avvicina l’età del prepensionamento obbligatorio.
Petrolio per 5 anni. Oppure per 50
I segnali di abbandono degli investimenti ci sono già. A Ravenna, dove c’è il polo del made in Italy petrolifero richiesto in tutto il mondo per qualità tecnologica e ambientale, molte aziende in difficoltà hanno lasciato per strada i dipendenti. Complice il greggio attorno ai 30 dollari al barile (un barile sono circa 159 litri), non si investe e in questo periodo si perfora pochissimo. Le contestazioni locali, e ora le leggi, paralizzano quel poco che le compagnie potrebbero fare.
Quanto petrolio c’è in Italia? A dispetto dei luoghi comuni, l’Italia ha grandi risorse energetiche poco usate: le fonti rinnovabili, la geotermia che ricupera il calore del sottosuolo. Abbiamo anche 106 piattaforme petrolifere in mare, 113 permessi di ricerca di giacimenti non ancora scoperti e 202 concessioni già attive.
Ma sotto i nostri piedi parrebbe nascondersi, non ispezionato, un tesoro che potrebbe evitarci di importare metano e petrolio da Paesi lontani dove le cautele ambientali sono meno attente. La Strategia energetica nazionale, un documento politico e tecnico del 2013, asserisce che «le risorse potenziali totali ammontano a 700 Mtep di idrocarburi», cioè 700 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio.
Tradotto, significa che avremmo 5 anni interi di autonomia totale, senza importare una goccia di petrolio. Oppure, se continuassimo a importare il petrolio e il gas a tutta manetta come oggi, i giacimenti nazionali durerebbero più di mezzo secolo.
I rischi di incidente
Dal punto di vista assoluto, il ricorso ai giacimenti darebbe benefici ambientali ed economici evidenti. Migliori tecnologie di estrazione, minori trasporti ed emissioni che cambiano il clima, meno petroliere pericolose davanti alle nostre coste, più ricchezza nel Paese. Però lo sfruttamento dei giacimenti nazionali potrebbe accrescere a casa di noi consumatori accaniti il rischio di incidenti rilevanti sui giacimenti. Pochissimi incidenti, finora: 1950, Cortemaggiore, Piacenza, metano; 1994, Trecate, Novara, petrolio. Ma per quanto remota la possibilità, una marea nera avrebbe conseguenze difficili da tollerare.
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