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Un’assenza di limiti con nemici ovunque

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«guerra, pace, diritto»

Un’assenza di limiti con nemici ovunque

La notte del 13 novembre 2015, dopo l’attentato di Parigi, non pochi commentatori o editorialisti di ogni parte del mondo affermarono che si trattava di un atto di guerra. Era difficile smentirli. Così come sarebbe stato impossibile contraddire chi avesse detto qualcosa di simile dopo il crollo delle torri di New York l’11 settembre 2001. L’unico problema era (e resta) quello di stabilire chi fosse il nemico.

Ci si accorge, tra dichiarazioni di ogni genere, che individuarlo è difficile. Per taluni l’impresa sarebbe addirittura impossibile. Eppure, per non arrendersi e ritrovare senza paure la fiducia e la propria libertà, occorre tentare. Il nemico ha queste o quelle caratteristiche, chiede quest’altro, occorre cautelarsi così eccetera.

E possibile? L’ultimo conflitto che l’Occidente ha registrato nel suo Dna è stata la Guerra fredda tra Usa e Urss, svoltasi nei decenni successivi il secondo scontro mondiale. Le due superpotenze si contrapposero con battaglie di nervi e comunicazioni, sfogando i loro istinti in guerre periferiche, condizionando gli equilibri dell’intero pianeta. Anche i film di James Bond, l’indimenticabile Agente 007 (il numero è significativamente il prefisso telefonico di Mosca), che influenzarono non poco l’immaginario collettivo grazie all’industria del cinema, erano un capitolo della Guerra fredda. I partiti politici ne costituivano un altro, sino agli scontri dolcificati dall'ironia e registrati da Guareschi tra Peppone e don Camillo. E adesso?

Per rispondere conviene partire da un testo del politologo Gianfranco Miglio, scomparso nel 2001, dal titolo Guerra, pace, diritto (uscirà domani per l’editrice La Scuola di Brescia; 78 pagine, 7,90 euro) con una prefazione di Massimo Cacciari. Lo scritto nacque da una relazione tenuta da Miglio a un Convegno dell’Istituto Gramsci Veneto, diretto da Umberto Curi, nel maggio del 1981; un incontro a cui parteciparono, tra gli altri, Mario Tronti, Gianni Baget Bozzo, Emanuele Severino e si concluse con un ampio intervento di Pietro Ingrao. In quell’occasione Miglio, riprendendo quanto Jean Bodin scriveva nel penultimo dei Sei libri della Repubblica, ricordava che tanto più sono compatte le sintesi politiche, quanto più sono impegnate in un conflitto con un nemico “esterno”. E sosteneva: “La verità elementare di questa proposizione emerge in tutta evidenza ai nostri giorni: quando cioè l’impossibilità di combattere una autentica guerra (totale) accresce a dismisura l’aggressività nella lotta politica interna. Ogni terrorista avrebbe potuto essere, in altre condizioni, un eroe
della patria”.

Nel 1981 la violenza si manifestava con altri volti rispetto a quelli odierni, erano di scena le Brigate Rosse e i ruoli di amico e nemico, posti in evidenza da Carl Schmitt, si riusciva a definirli. Miglio registrò quanto stava avvenendo e tutte le nuove varianti. Il suo testo merita di essere letto per capire come la guerra trasformi le cose e, a sua volta, sa trasformarsi. Eccoci al punto.

Cacciari nella prefazione al libro parla senza mezzi termini di una “nuova guerra” in corso; anzi ricorda che siamo in una sorta di conflitto nel quale i riferimenti politici del passato si sono dissolti, insieme alle relative coordinate. La violenza scatenatasi a Parigi, o quella che caratterizza attentati in molti Paesi del mondo, è tipica di uno scontro diverso dai precedenti. Scrive Cacciari: “Chi sono i miei alleati in questa guerra? E chi il Nemico? Sono costretto a condurla anche con amici che sono amici del mio Nemico? E lo stesso Nemico a chi si rivolge? Non è certo vero che la sua forza consista, almeno in parte, nel saper indicare con nettezza il proprio Avversario mortale. Quanti effettivamente lo sono? E in quale ‘scala di valore’ li colloca? Poiché, senza che una gerarchia tra essi si stabilisca, la guerra non ha direzione. E cioè non è guerra, ma confusione; cessa di rappresentare una forma essenziale della politica per trasformarsi in anarchica zuffa tra totalità contrapposte che vorrebbero astrattamente negarsi”.

La tesi di Cacciari su cui vale la pena riflettere è che stiamo vivendo un' “ assenza di limiti”, o meglio una “guerra totale” in un senso che sarebbe stato impossibile cogliere trent'anni fa. Si tratta di una guerra “illimite” perché non ha forma, “totale” perché esonda da ogni spazio. Il nemico, per tutti i contendenti, “è interno-e-esterno; i confini che li separano sono ovunque e in nessun luogo”.

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