Mussolini. «La brigata che ha arrestato Mussolini era la “Cinquantaduesima, Luigi Clerici”, un mio parente. Anche mio padre partecipava. Ricordo che gli portavo i mitra sovietici nascosti nella borsa da tennis. Un giorno stavo per essere scoperto. Avevo 14 anni e oggi non sarei qui a raccontarmi».
Scimmia. Le prime lezioni di tennis, nel 1936, con il maestro anglo-americano Sweet, che lo chiamava «piccola scimmia».
Wimbledon. Nel 1953 la prima partecipazione a Wimbledon. Viaggio in macchina da solo, da Como a Londra al volante di una Fiat Cinquecento modello Giardinetta. Ventidue ore di guida ininterrotta. Eliminato al primo incontro con lo iugoslavo Laszlo.
Diagnosi. La carriera sportiva finì a causa di un'infezione itterica che lo trascinò più volte in ospedale «e che spinse un celebre specialista a una diagnosi terrificante: si era imbattuto in un solo caso identico al mio, nato da un misterioso microbo orientale. E il paziente non si era salvato. Una seconda diagnosi, di uno specialista altrettanto celebre, mi permise di trascorrere giorni meno grami».
Arbasino. «Arbasino era capace di costringermi a guidare la mia Millecento a tutta velocità per un appuntamento importantissimo e indilazionabile, “in direzione ovest”. Una volta arrivati, mi trascinava estasiandosi, per esempio, al Sacro Monte di Varallo. Soltanto uno zotico provinciale come me poteva capitarci per la prima volta. “E tu quando ci sei stato” mi incuriosivo. “Mai, ma lo conoscevo già benissimo”».
Tommasi. La coppia con Rino Tommasi. «Tommasi è quanto di più diverso da me si possa immaginare. Gli interessa addirittura morbosamente la televisione, mentre io non ho mai voluto possedere un apparecchio. Nonostante sia l'uomo più pacifico del mondo, si crede di estrema destra mentre io non sono mai riuscito a trovare una collocazione politica, se non democratica. Vive benissimo ignorando le grandi mostre di pittura e il teatro, che a me sono indispensabili. Infine, e non so se possa qui permettermi di dirlo, è al contrario di me un autentico macho».
Hemingway. L'incontro con Hemingway, «in una nottata a fitta densità etilica nel suo caffè preferito, il Txoko, a Pamplona. La sua presenza valse a consolidare la mia passione per il toreo e a offrirmi una grande lezione. Distinguere la paura, sana e virile, dal terrore».
Musica. «Fra le mie colpe meno veniali è quella di aver istigato uno scrittore di sicuro talento al giornalismo. Si sa che gli ingenui considerano il giornalismo una disinvolta scorciatoia alla letteratura. In realtà, è per molti un'assillante parodia. Chi vi si abbandona si trova, a lungo andare, con troppe corde stonate sul suo strumento. E non è facile accordare e scordare nell'istante stesso in cui da una musica si passa a un'altra» (Gianni Brera nella prefazione al libro di Clerici Vero Tennis, 1965).
Vergogna. «Come puoi scrivere che il numero 8 ha giocato una grande partita, mentre il 10 è andato maluccio. Sono tutti e due scuri di capelli, hanno la stessa corporatura, giocano vicini perché sono mezzali, anche se tu li chiami con quell'orribile definizione, “centrocampisti”… Ah, è addirittura un tuo neologismo! Dovresti vergognarti» (Mario Soldati commentando un articolo di Gianni Brera).
Cul. «Vede il calcio attraverso un cul di bicchiere» (Helenio Herrera a proposito di Gianni Brera).
Strada. «Fallito come tennista ho tentato di diventare scrittore, ma non sono riuscito a togliermi da quelle gravitazioni tipiche di chi lascia una strada per un'altra».
Fonte: notizie tratte da Gianni Clerici, Quello del tennis, Mondadori, 2015, 200 pagine, 20 euro
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