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Renzi-Merkel, vertice decisivo su crescita, banche e migranti

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il premier a berlino

Renzi-Merkel, vertice decisivo su crescita, banche e migranti

Ci sono lati del carattere di Matteo Renzi nei quali Angela Merkel riconosce il tratto del politico di razza, quello che sa strappare il velo delle ipocrisie e rischiare di persona (lei sa cosa vuol dire). Ne aveva individuato le qualità già da sindaco di Firenze, anche se perdente delle primarie, quando lo volle incontrare a Berlino per farsi raccontare come sarebbe riuscito a fare le riforme in un Paese immobilista quale l’Italia. Lo accolse da premier con quel «ecco il mio matador» al primo vertice europeo dopo le Europee (11 milioni di voti e - come ricorda sempre Renzi – ben più di quelli ottenuti dalla cancelliera). Ma sarebbe ingenuo pensare che il rapporto in questi due anni non sia cambiato e sia giunto a un turning point pericoloso non solo per lo stato delle relazioni bilaterali tra Roma e Berlino ma per la tenuta della Ue. Ecco perché oggi, nella colazione di lavoro allestita alla Cancelleria, Renzi e la Merkel giocano la partita più importante per il futuro dell’Europa in questi ultimi mesi.

«Il colloquio non sarà facile soprattutto all’inizio – prevedono esperti diplomatici – occorrerà superare quella freddezza scontata dopo le ultime dichiarazioni ma il clima potrebbe poi cambiare soprattutto se entrambi riusciranno a trovare un terreno comune sul quale collaborare con sano realismo». Renzi, dicono i suoi collaboratori, «sente tutta la responsabilità del momento». Per questo non ci saranno «piccate rivendicazioni» ma «l’atteggiamento nei confronti dell’Italia deve cambiare perché è finito il tempo in cui l’Italia prometteva e basta, oggi siamo in Europa con riforme approvate». Il premier italiano, assicurano i suoi collaboratori, non metterà sul tavolo temi come il Nord Stream2 che riguardano Commissione o Consiglio perché «le cose che uniscono i due sono più che ci dividono e l’avversario comune è il populismo».

Al di là di tutto il punto politico è molto semplice. La Merkel ha bisogno in questo momento di un robusto sostegno sulla politica migratoria soprattutto dopo le ultime sortite danesi e svedesi, il “tradimento” dei polacchi e di tanti altri Paesi dell’Est e le continue minacce di chi vuole rimettere in discussione Schengen. L’Italia di Renzi ha bisogno dell’aiuto tedesco sui dossier economici: dal sostegno alla crescita, all’Unione bancaria, alla garanzia sui depositi, alle clausole di flessibilità che verranno discusse a marzo. Se la Merkel, oggi, manifestasse significative aperture del suo mercato a favore delle imprese italiane riducendo l’avanzo di bilancio e garantisse un appoggio in sede europea alle richieste di flessibilità sul bilancio italiano si arriverebbe a una normalizzazione dei rapporti, a uno «schema nuovo» nei rapporti tra i due Paesi. Dalla pars destruens si potrebbe giungere a quella più utile pars costruens che guardi al futuro dei 28.

In realtà le cose sono molto più complesse e un deal del genere, anche se auspicabile, appare difficile da raggiungere subito. Sui migranti Renzi intende ottenere dalla Merkel il sostegno in sede Ue affinché la conferma che la quota a carico degli Stati membri per i 3 miliardi di aiuti alla Turchia per i migranti venga ridotta a meno dei 2 miliardi attuali e quella a carico alla Commissione aumentata sopra il miliardo previsto. Ma soprattutto che le quote nazionali (l’Italia dovrebbe versare circa 280 milioni) siano fuori dal Patto di stabilità. Anche la Merkel avrà margini stretti per assicurare (come forse vorrebbe) l'«amico Matteo» sulla parte economica con il ministro delle Finanze Schaeuble che, ad ogni piè sospinto, avanza ipotesi di «integrazione differenziata» nell’Unione escludendo quasi costantemente l’Italia dal vagone di testa o dal cosiddetto “nocciolo duro”, si parli di “mini-Schengen” o di “Euro2”.

Sono passate solo due settimane dalle polemiche tra Renzi e il presidente della Commissione Juncker e Renzi non sembra disposto a rimangiarsi le dichiarazioni compresa quella molto dura nei confronti del capo di gabinetto di Juncker, il tedesco Martin Selmayr, secondo il quale non vi sarebbero «interlocutori» in Italia per discutere i dossier europei. Senza contare le varie dichiarazioni («non andiamo più a Bruxelles con il cappello in mano, meritiamo rispetto, la Germania non ci venga a raccontare che sono gli unici donatori di sangue»).

Ma è soprattutto sul mecccanismo decisionale dell’Unione ormai quasi totalmente a carattere intergovernativo che Renzi fa calare la sua scure quando ricorda come ha fatto al quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Sarei grato se Angela e François potessero risolvere tutti i problemi, ma purtroppo non funziona così». Insomma secondo il premier italiano il motore franco-tedesco sta mostrando i limiti nell’attuale situazione e non riesce più a garantire la governance dell’Europa. Sarebbe sbagliato in questa fase indebolire la Merkel, unico motore europeo. In parte, Renzi lo sa e per questo non vuole apparire come un semplice “euroscettico” o “eurofrenante” nei confronti di Bruxelles. Il suo slogan resta “più Europa”, non “meno Europa”. Per questo domani sarà a Ventotene a oltre 70 anni dal manifesto di Spinelli e il 9 febbraio a Roma i ministri degli Esteri dei Paesi fondatori si vedranno per discutere il futuro dell’Unione.

Un invito alla prudenza a Renzi viene da un germanista quale Angelo Bolaffi. «Speriamo - dice Bolaffi - che l’incontro venga usato nel modo migliore da entrambi. Per l’Italia potrebbe essere l’occasione per chiarire malintesi che non aiutano nel dialogo. Non che non esistano conflitti reali, ci sono anche conflitti reali ma quelli fanno parte del gioco politico; non c’è niente di male a difendere i propri interessi, nello spirito della ricerca di un compromesso: l’Europa si costruisce sui compromessi». Ma su un punto Bolaffi insiste: «Per tutti coloro che hanno pensato che fosse possibile o utile una contrapposizione Italia-Germania sognando un cosiddetto “fronte mediterraneo” vorrei ricordare il silenzio fragoroso di Francia, Spagna e persino Grecia sulle questioni bancarie e sulle altre questioni».