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Sulla crescita serve un balzo, non bastano i decimali

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L'Analisi|italia troppo lenta

Sulla crescita serve un balzo, non bastano i decimali

Non fosse per quello striminzito +0,9% previsto per la Finlandia, nel 2017 l’Italia - col suo +1,3% di crescita del Prodotto interno lordo (Pil) - figurerebbe all’ultimo posto nell’area euro e nell’Europa a 28, accreditate di una ripresa media, rispettivamente, dell’1,9% e del 2%.

Le previsioni vanno sempre considerate per quelle che sono, cioè soggette alla revisione dettata poi dalla realtà dei fatti, che a volte può risultare migliore di quella studiata a tavolino. Però fa ugualmente impressione constatare che la Commissione europea (con la quale il governo Renzi, che prevede +1,6% sia per quest’anno che per il prossimo, deve fare i conti) mette nero su bianco una traiettoria di crescita deludente: dal +0,8% del 2015, primo disgelo dopo la Grande Crisi, all’1,4% del 2016 (rivisto al ribasso dall’1,5%) e da qui, soprattutto, all’1,3% del 2017.

È vero che Bruxelles sta abbassando un po’ per tutti le previsioni di crescita, ma è un dato persistente anche la rincorsa dell’Italia che resta ben sotto la media dell’Europa e dell’Eurozona. Film già visto e che nessuno vorrebbe più vedere, tenuto conto che l’Italia, dopo la Grecia, ha pagato il prezzo più alto della recessione e che per recuperare il terreno perduto dovrebbe correre ora più degli altri. Ma non solo. Prendendo per buona la previsione del +1,4% della Commissione per il 2016 (il Fondo monetario indica 1,3%) si nota che quest’anno fanno peggio di noi la Grecia (-0,7%), la Finlandia (+0,5%), il Belgio e la Francia (ambedue a quota +1,3%). Mentre nel 2017 riusciamo a sorpassare la sola Finlandia, con la Grecia che balza addirittura ad una crescita del 2,7%.

Certo, c’è anche chi, come l’Italia, non cresce ma arretra tra il 2016 ed il 2017: Irlanda, Spagna, Malta, Austria. Però partiamo da basi tutte più alte e nei casi di Irlanda e Spagna si approda comunque a risultati di rilievo: +3,5% per Dublino, +2,5% per Madrid. Da aggiungere poi che nel club dei Paesi europei che non aderiscono all’euro i tassi di crescita del Pil, tranne la Danimarca (+1,9%), partono tutti dal 2% in avanti, con punte che superano il 3,5%.

A sua volta, è tutta l’Europa che corre meno veloce degli Stati Uniti (+2,7% quest’anno) e della Cina (pure in crisi, ma sempre con alle spalle una crescita del 6,5%). Pesano le incertezze importate dal resto del mondo e le incognite interne “dirompenti” per la crescita, come avvertito dalla stessa Commissione, se dovessero venir meno gli accordi di Schengen sulla libera circolazione. E se a questo sommiamo l’allarme suonato dal presidente della Bce Mario Draghi sul fronte dell’inflazione, o meglio della deflazione, il quadro si presenta come più suscettibile di peggioramento che di miglioramento. Scenario che Bruxelles indica esplicitamente e chiaramente.

Le previsioni d’inverno della Commissione equivalgono così ad un’abile bocciatura informale delle scelte di politica economica del Governo (che a metà aprile dovrà aggiornare il quadro programmatico con il nuovo Documento di economia e finanza) in attesa della risposta definitiva all’Italia sulla flessibilità di bilancio? Questo no, se non altro perché da oggi a maggio c’è a fine febbraio la visita a Roma del presidente della Commissione Jean-Claude Juncker e perché anche ieri il Commissario Pierre Moscovici ha fatto aleggiare lo spirito del “compromesso” tra Roma e Bruxelles. A sua volta, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, nelle vesti di tessitore di un’intesa, assicura che le cifre della Commissione sono “molto simili” a quelle del Governo, che non c’è richiamo sul debito pubblico che anche Bruxelles vede scendere (seppure meno di quello che prevede Roma), che gli aumenti per circa 15 miliardi dell’Iva e delle accise previsti come “clausole di salvaguardia” per il 2017 saranno disinnescati con “misure di risparmio”. Il che farebbe pensare, anche a sostegno delle ragioni italiane sulla flessibilità, alla resurrezione della “spending review”, operazione fin qui rimasta di fatto nei cassetti e oggetto di ripetuti rilievi da parte dell’Europa che oggi prospetta per il 2016 un aumento del “deficit strutturale”, cioè al netto degli effetti del ciclo economico, per quasi un punto di Pil. Ed è questo un punto fondamentale di verifica alla base di qualsivoglia accordo tra Roma e Bruxelles.

Si corre insomma sul filo del rasoio in una partita difficile per tutti e ben esemplificata dalla previsione della Commissione di un calo frazionale del debito, dal 132,8% del Pil del 2015 al 132,4% del 2016. Obiettivo che va al di là di un -0,4%, avendo il Governo promesso e previsto per il 2016 un arretramento dopo sette anni consecutivi di lievitazione.

Ma, più in generale, Renzi ha promesso la crescita. Qui sta il cuore della sua scommessa politica di governo. Un numero magico, comprensibile per tutti, e che deve indicare una rincorsa più forte, non uno stallo con un “più” davanti.

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