Commenti

Banche italiane, la solidità nei bilanci

  • Abbonati
  • Accedi
patrimonio e rischio

Banche italiane, la solidità nei bilanci

Il tema dei crediti deteriorati ha dominato in modo disordinato le vicende borsistiche italiane di questo inizio 2016. Per almeno quattro ragioni. La prima è che vi è stata grande confusione sui numeri. Infatti, come ha ribadito il ministro dell’Economia Piercarlo Padoan, «il nostro sistema bancario è solido. Le sofferenze nette corrispondono oggi a 88 miliardi, e non ai 201 miliardi di cui si parla».

La seconda ragione è che non sembra essere noto a tutti che le banche italiane non solo hanno a bilancio uno dei più alti tassi di copertura dei bad loans (attraverso opportune rettifiche), ma che a fronte dei crediti dubbi vantano anche un elevato stock di garanzie reali, principalmente immobiliari. Nell’annunciare i suoi dati del 2015, ad esempio, Intesa Sanpaolo ha precisato di avere un livello di copertura complessiva dei crediti deteriorati, considerando le garanzie reali, pari al 139% a fine dicembre 2015 (al 146% considerando anche le garanzie personali), con una copertura complessiva della componente costituita dalle sofferenze pari al 140% (al 147% considerando anche le garanzie personali). Si tratta di livelli di copertura che anche le altre nostre banche maggiori presentavano nel 2014, come ha ricostruito giorni fa “Il Sole 24 Ore”, e sarebbe forse utile che tutte lo ribadissero con analoga precisione e tempestività in occasione della imminente presentazione dei loro bilanci 2015.

La terza ragione è che non è scritto da nessuna parte che le sofferenze debbano essere gestite dal sistema bancario italiano come qualcosa da vendere affannosamente e «sotto pressione», cioè in tempi brevi e “a saldo”, seguendo le acrobatiche ed improbabili simulazioni che in questi giorni sono state elaborate anche da alcune agenzie di rating. Le quali hanno preso a riferimento i valori delle svalutazioni delle sofferenze applicate in occasione del recente salvataggio straordinario delle 4 banche oggetto di risoluzione: un benchmark davvero assurdo per il resto del sistema bancario, diciamolo chiaramente. Come è assurdo stimare arbitrariamente presunte necessità di aumento di capitale a cui andrebbero incontro persino diverse tra le banche italiane più solide in uno scenario di vendita in blocco dei loro crediti dubbi agli stessi parametri applicati alla Popolare Etruria o alla Banca Marche. Mentre qualunque banchiere navigato sa benissimo che, gestendo in modo professionale ed efficiente le sofferenze, da che mondo e mondo con esse «si fanno i bilanci»: altro che necessità di futuri aumenti di capitale!

La quarta ragione è che il problema dei crediti deteriorati non è un problema di stabilità economico-finanziaria delle banche, posto, ovviamente, che abbiano adeguate dotazioni di capitale (come la grande maggioranza di quelle italiane). È invece soprattutto un problema di impatto sull’economia reale, che fatalmente riceve in media meno prestiti in tempi come questi in cui le banche sono impegnate a ridurre il peso eccessivo dei crediti dubbi accumulati durante una lunga recessione come quella da cui siamo appena usciti. Sotto questo profilo è perciò importante che il Governo introduca delle misure incisive per ridurre i tempi del recupero crediti e per riattivare più rapidamente condizioni di normalità nell’erogazione dei prestiti.

Peraltro, questo giornale ha documentato con precisione che c’è in Europa un problema bancario ben più preoccupante di quello (ipotetico) italiano. Infatti, se le perdite in borsa sono state più forti in gennaio per le banche italiane (sotto l’infuriare della “sindrome” da sofferenze), per le più grandi banche europee il declino dei valori azionari è stato più accentuato rispetto a un anno e tre anni fa. La ragione è molto semplice. Molti bilanci sono pessimi. Inoltre le dotazioni di capitale di molte banche sistemiche europee sono inadeguate. E sono troppo alte le loro leve, con bassi rapporti di capitale pregiato sulla leva.

Basta guardare ai dati della tabella a fianco, dove sono confrontati i valori dei ratio di CET1 fully loaded (a pieno regime di Basilea III) e di leva dei sistemi bancari dei 7 maggiori Paesi dell’Euroarea (oggetto di vigilanza unica) con quelli delle 6 principali banche italiane e delle prime due banche tedesche, francesi e spagnole per capitalizzazione di borsa. Dalla lettura di tale tabella, i cui dati si riferiscono a giugno 2015, emerge chiaramente che:

a)nel CET1 ratio, nonostante il peso distorsivo dei bassi valori delle due popolari venete non quotate (Popolare Vicenza e Veneto Banca), il valore nazionale italiano è elevato e non distante da quelli di Germania e Francia.

b)la prima banca Italiana, Intesa Sanpaolo, surclassa per CET1 ratio la prima banca tedesca, francese e spagnola; e la seconda banca italiana, Unicredit, precede la seconda banca tedesca, francese e spagnola.

c)anche UBI Banca e BPM hanno valori di CET1 ratio superiori alla prima banca tedesca, francese e spagnola. Banco Popolare, Unicredit e MPS a loro volta presentano valori superiori a quelli della seconda banca tedesca e delle prime due banche francesi e spagnole.

d)nel leverage ratio il valore nazionale italiano è tra i più alti e quelli di BPM, Intesa Sanpaolo e UBI banca sono ai vertici assoluti; inoltre, Banco Popolare, Unicredit e MPS precedono la prima banca tedesca e le prime due banche francesi.

Guardando a questi dati, e tenuto conto delle osservazioni anzidette sulle sofferenze, è del tutto evidente che è improprio parlare di un “caso” delle banche italiane in Europa. Piuttosto emerge un quadro preoccupante per diverse banche sistemiche europee. Sicché, specie in questi tempi assai curiosi in cui in altri Paesi va di moda costituire «comitati di saggi» che, tutelando in primis neanche tanto velatamente i propri interessi nazionali, si ergono a suggeritori di proposte nell’interesse europeo (come quella di attribuire un livello di rischio o di mettere un tetto al quantitativo di titoli di debito pubblico detenuti dalle banche), c’è da chiedersi se non varrebbe la pena che anche l’Italia costituisca uno o più propri «comitati di saggi». In campo bancario, ad esempio, l’Italia potrebbe innanzitutto suggerire all’Europa che venga elevata la dotazione di capitale delle grandi banche sistemiche. Inoltre che la vigilanza unica sia estesa anche alle banche regionali e medie. Infine, che le autorità di vigilanza pretendano di avere dati certi sull’ammontare dei derivati nei bilanci bancari .

© Riproduzione riservata