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Un piano globale per l’istruzione

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il futuro dell’educazine

Un piano globale per l’istruzione

Tra i Sustainable Development Goals (SDGs), ovvero gli obiettivi per lo sviluppo sostenibile adottati dalla comunità internazionale a settembre del 2015, c’è l’obiettivo di garantire a tutti i bambini del mondo l’istruzione primaria e secondaria gratuite entro il 2030. E trovare altri 20 miliardi di dollari l’anno, o più, necessari a raggiungerlo sarà uno dei compiti fondamentali della International Commission on Financing Global Education Opportunity, commissione istituita a settembre dal primo ministro norvegese, insieme ai presidenti di Malawi, Cile, Indonesia e al direttore generale dell’Unesco. I membri di questa commissione, che annovera cinque ex-presidenti e primi ministri, tre ex-ministri delle finanze, sei premi Nobel e tre dei più importanti imprenditori mondiali – Jack Ma, Aliko Dangote e Strive Masiyiwa – esporranno i loro risultati al Segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon e agli altri convenuti a settembre. Il 24 gennaio ci siamo riuniti a Londra per definire quale strada seguire.

La sfida è notevole: circa 60 milioni di bambini in età da scuola elementare non ricevono un’istruzione scolastica. Dei 590 milioni che stanno frequentando la scuola, 250 milioni – circa due bambini su cinque – non imparano a leggere, scrivere o fare di conto. E approssimativamente il 60 per cento degli scolari dei Paesi in via di sviluppo non raggiunge gli standard matematici più basilari. Se si continua di questo passo, da qui al 2050, in gran parte delle regioni del mondo, i bambini godranno in media di dieci o più anni di scolarizzazione, rispetto ai tre del 1950. Tuttavia, alcuni Paesi africani resteranno molto indietro, con una media di soli 3-4 anni di scolarizzazione. Se non cambieremo strategia, ci vorranno più di cento anni – ben oltre il 2100 – perché ogni bambino abbia l’opportunità di completare il suo iter scolastico.

Benché i livelli di istruzione svolgano un ruolo sempre più importante nella crescita economica, i fondi necessari a farli salire non si sono materializzati. Negli ultimi anni, gli aiuti internazionali allo sviluppo per quel che concerne l’istruzione sono diminuiti quasi del 10 per cento e la spesa governativa nei Paesi a basso reddito non è bastata a fare la differenza.

Nel 2002, l’istruzione rappresentava il 16 per cento della spesa interna dei Paesi poveri, oggi la percentuale è solo del 14 per cento. Nel frattempo, la spesa sanitaria è salita dal 9 all’11 per cento della spesa totale. E a peggiorare ulteriormente le cose, in molti dei Paesi che più hanno bisogno di istruzione, fra i quali Pakistan e Nigeria, i governi stanno spendendo troppo poco nell’educazione (in qualche caso solo il 2 per cento del reddito nazionale). E anche quando vengono stanziati, i fondi non sono spesi in modo equo. Nei Paesi a basso reddito, quasi la metà dei fondi destinati all’istruzione viene destinata al 10 per cento dei bambini più scolarizzati e solo una minima percentuale arriva ai bambini che vivono per strada o che abitano in aree rurali isolate, in zone di guerra o negli slum urbani.

Secondo l’Unesco, nella Repubblica Centrafricana, in Ciad, Guinea-Bissau e Sud Sudan, il rapporto scolari/insegnanti qualificati è più di cento a uno. E gli insegnanti ricevono pochissimo sostegno, incoraggiamento o feedback. I buoni insegnanti sono fondamentali per garantire un’istruzione di qualità, ma possono fare poco senza una capace supervisione, un curricolo ben organizzato e l’'accesso alla tecnologia. È inutile parlare di “istruzione universale” se i bambini che vivono nelle baracche, nei tuguri o nelle tende dei campi profughi non possono andare a scuola. In caso di guerra o catastrofi, la comunità internazionale mette giustamente a disposizione aiuti per garantire cibo, alloggio e cure necessarie. Troppo spesso, però, gli aiuti per l’istruzione vengono al secondo posto. Con i profughi che in media devono restare anche più di dieci anni lontano da casa, non possiamo continuare a trascurare il problema dell’istruzione.

Per fortuna dei progressi ci sono stati: è stato condotto un interessante esperimento in Libano, le scuole sono state utilizzate a doppio turno per accogliere anche i bambini dei profughi siriani; al mattino andavano a scuola i bambini locali e nel pomeriggio quelli siriani.

Il programma si è rivelato un enorme successo, riuscendo ad accogliere qualcosa come 207mila bambini che altrimenti non avrebbero potuto frequentare la scuola. E sono previsti dei piani per estenderlo a un milione di bambini in Libano, Turchia e Giordania. L’ostacolo principale a quello che sarebbe un successo spettacolare – come è spesso il caso – è la mancanza di fondi. Ed è per sostenere sforzi come questo che è stata istituita l’International Commission on Financing Global Education Opportunity. Il direttore generale dell’Unicef Anthony Lake, il direttore generale dell’Unesco Irina Bokova, e la presidente della Global Partnership for Education, Julia Gillard, hanno offerto il loro sostegno a una piattaforma educativa per le emergenze, proposta che sperò verrà formalizzata al World Humanitarian Summit che si svolgerà in Turchia, a maggio prossimo. Quanto a me, mi prefiggo di definire una tabella di marcia entro la fine dell’anno per garantire l’istruzione primaria e secondaria a tutti i bambini del mondo e i finanziamenti con cui raggiungere questo obiettivo cruciale.

(Traduzione di Francesca Novajra)

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