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Giudici e divise contro il malaffare

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imprese & legalità

Giudici e divise contro il malaffare

In questo primo scorcio di 2016, la casuale contemporaneità di alcuni fatti di cronaca con le cerimonie di apertura dell’Anno giudiziario e le relazioni diffuse da Direzione investigativa antimafia e Guardia di finanza offre lo spunto per misurare lo stato di salute del fronte che contrasta mafia e malaffare.

Tra gli altri, un dato emerge con forza: dopo gli anni delle speranze, delle prese di posizioni pubbliche, del fiorire di aggregazioni civiche, l’iniziativa è sostanzialmente tornata nelle mani di toghe e divise. E per fortuna, perché nonostante alcune testimonianze di pur autorevole ottimismo («L’antimafia scoppia di salute», ha scritto di recente il professor Nando dalla Chiesa) e qualche importante new entry come l’Anac (Autorità nazionale anticorruzione), un evidente stato di smarrimento prevale dopo la sequela di politici sospettati di voto di scambio, professionisti collusi, gli imprenditori-simbolo raggiunti da avvisi di garanzia, i casi di compromissione di amministratori pubblici, Cinquestelle compresi, fino alle diverse associazioni, Libera in testa, chiamate a rivedere il loro ruolo e il loro peso.

Con la conseguenza che il racket minaccia e incendia come a Palermo e a Locri, senza che si inneschino risposte adeguate, perché lo smarrimento inceppa l’iniziativa e induce una silenziosa cautela.

In questo scenario, provocano qualche brivido lungo la schiena gli attacchi sferrati da professionisti di grido (e di grida) a magistrati e giornalisti perché in combutta – in quanto corregionali – e animatori del circo mediatico-giudiziario che “trasforma dei modesti rubagalline in capibastone”. Fa venire i brividi perché proprio a Roma, nelle stesse ore, il commissario prefettizio fa il suo dovere di sostituto sindaco, affrontando lo scandalo di centinaia di case del Comune affittate quasi gratis nel centro storico.

Il nesso tra le invettive d’aula e lo scandalo delle case è profondo: una simile gestione della cosa pubblica crea cittadini acquattati nell’ombra per non perdere il privilegio creato da incuria e clientelismo alimentati da amministratori che anziché risolvere il problema lo manovrano e in questo pantano hanno buon gioco i Carminati e i Buzzi nel comprare o minacciare alla bisogna. Altro che circo mediatico-giudiziario...

Sia benvenuta, perciò, la continuità dell’azione repressiva illustrata nei discorsi inaugurali dell’Anno giudiziario che, da Torino a Palermo, hanno fornito un quadro d’insieme dei processi avviati o conclusi sulla mafia, colpita nelle sue regioni di radicamento storico, ma anche disvelata dietro le maschere che indossa per allargarsi a Regioni e ambiti che si credevano immuni.

Anche il reato di corruzione (per il quale «non esistono vittime ma solo complici», come è stato efficacemente sintetizzato da Cantone), quest’anno ha occupato un posto centrale negli allarmi dei Procuratori generali: nessuna latitudine del Paese è stata risparmiata dalla denuncia per la diffusione di questo delitto, così nocivo per l’Italia anche se, come è ovvio, alla crescita del dato statistico corrisponde non solo un indubbio aumento del fenomeno, ma anche a l’accresciuta attenzione giudiziaria per segnali non sempre colti in passato.

La stessa percezione di proficua attività si coglie nelle relazioni della Dia e delle Fiamme Gialle, relativamente all’analisi e agli interventi operati su evasione fiscale, infiltrazione della pubblica amministrazione, riciclaggio, usura, controlli nei cantieri. Quanto alla capacità di autocorreggersi, sempre sottovalutata nel percorso verso una maggior credibilità ed efficacia, fanno ben sperare i segnali di un più deciso ricorso all’intervento disciplinare e di Procure meno esitanti a inquisire anche i colleghi dei distretti su cui hanno competenza. Dagli ermellini, infatti, si sono (finalmente) ascoltate parole esplicite di condanna e rammarico per le carenze deontologiche ascrivibili a singoli colleghi e a interi uffici.

Il filo per continuare a tessere, dunque, c’è, grazie alla continuità dell’azione repressiva dello Stato. Ma è tempo di riflessioni serie, che non facciano sconti né lascino zone d’ombra. È l’unico modo per recuperare il terreno perduto.

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