Commenti

Il tempo di condividere i rischi

  • Abbonati
  • Accedi
I MERCATI E IL PREZZODELLA DISUNIONE

Il tempo di condividere i rischi

Gli Stati non-uniti d’Europa. Agli occhi dei mercati, l’Eurozona torna a ripresentarsi questo inizio anno come un ammasso di mille Stati con rischi sovrani molto nazionali, disuniti tanto politicamente quanto fiscalmente e frammentati sotto il profilo di indicatori puntuali come debito/Pil, crescita potenziale, credito e solidità delle banche. Unico collante, il Qe della Bce che però ora sta allentando la presa.

In un contesto mondiale già teso in avvio d’anno, per via del rialzo dei tassi Usa e del rallentamento economico cinese, delle incognite sui mercati emergenti e gli strappi della geopolitica, l’Eurozona ha iniziato il 2016 senza una storia importante, bella e convincente propria da raccontare sullo scenario globale (semmai crescita fiacca, disinflazione sull’orlo della deflazione, emergenza immigrazione irrisolta), e anzi propone tante crisi domestiche destabilizzanti. Si riparla ora di Grexit e lo spread greco vola ma la novità è l’escalation dei problemi in Portogallo, uno degli Stati "salvati”, dove lo spread dei titoli di Stato contro Bund è schizzato dai 190 punti del 31 dicembre 2015 agli attuali 325, esasperato da un debito/Pil al 130%, crescita potenziale allo 0% e scricchiolii nel sistema bancario. Spagna e Irlanda avrebbero un Pil robusto ma rischiano l’instabilità politica che può frenare o addirittura ribaltare le riforme strutturali: lo spread peggiora anche per loro. La Francia ha un debito/Pil lievitato troppo durante la Grande Crisi e un modello economico da rifare: è uno degli anelli deboli nella zona dell’euro. La Germania, con gli attacchi in Borsa su Deutsche Bank e Commerzbank, dimostra di non essere invulnerabile. E infine l’Italia, con il suo spread tornato a quota 150: dal picco della crisi del novembre 2011 ha deluso per intensità e velocità sulle riforme strutturali e sul risanamento del sistema bancario. Cresce poco e male e il debito pubblico è ancora tutto lì.

Grandi e piccoli Stati avanzano in ordine sparso: e i mercati tornano a “prezzare” la disunione.

«È tutto iniziato dal Portogallo, è uno degli spread contro i Bund ad essersi allargato di più tra lunedì e martedì. I mercati hanno metabolizzato Grexit e sono riusciti a isolare il caso, che non è più pericolosamente contagioso. Se però il Portogallo dovesse diventare una seconda Grecia, dando conferma che l’euro non funziona, gli spread dei periferici questa volta si allargherebbero molto, il contagio sarebbe forte e inevitabile». Questa la tesi di uno strategist sui titoli di Stato europei: il Portogallo, con il suo rating junk BB-, non è uscito dalla crisi ed è monitorato attentamente dai mercati. «Questa nuova turbolenza è cominciata dalle banche, dal crollo in Borsa di Deutsche bank e Barclays che ha amplificato i problemi già sul tappeto dei non performing loans delle banche italiane e dell’applicazione del bail-in nelle crisi bancarie portoghesi», è un’altra chiave di lettura circolata ieri tra i traders.

La catena che lega rischio-Stato e rischio-banca evidentemente non è stata ancora spezzata nell’Eurozona: l’Unione bancaria è incompleta e gli Stati ad alto debito pubblico restano vulnerabili, nonostante il Qe della Bce e l’ombrello delle Omt di Mario Draghi (acquisti da parte della Bce di titoli di Stato di un Paese che chiede e ottiene aiuto dal fondo Esm e non ha accesso ai mercati per rifinanziare il debito).

I mercati non fanno sconti: hanno iniziato l’anno in uno stato d’ansietà, gravati dal rischio di un rallentamento del tasso di crescita, che sia in Cina, negli Usa, in Europa, negli emergenti o nel mondo intero. Per questo, i mercati sono sulla difensiva, pronti a uscire dai rischi e dalle incertezze. E nell’Eurozona, il lido più sicuro - in assenza di un titolo di Stato europeo e senza condivisione completa dei rischi- rimane il titolo di Stato tedesco per il quale si pronostica - in regime di flight to quality - un rendimento negativo a -0,20 %.

Il risk sharing, la condivisione dei rischi, il vero passo verso gli Stati Uniti d’Europa, non c’è. E i mercati colpiscono dove più se ne sente la mancaza. Non solo si sta ancora discutendo su tempi e modalità del meccanismo unico europeo di garanzia dei depositi. Ma lo stesso programma di acquisto dei titoli pubblici da parte della Bce prevede che solo il 20% delle eventuali perdite sia condiviso. Le banche centrali nazionali acquistano il grosso dei propri titoli di Stato domestici nell’ambito del Pspp (Public sector purchase programme): la Banca d’Italia nel 2014 deteneva 130 miliardi di titoli, ora ne ha 230 miliardi (tra i qualii BTp acquistati tramite il Qe). Nel contempo, le banche italiane continuano a detenere un’elevata quota di titoli di Stato italiani: stando alle statistiche della Bce, l’ammontare dei bond governativi europei sfiorava a inizio 2016 quota 400 miliardi, contro i 160 miliardi detenuti prima dello scoppio della crisi subprime. Avendo acquistato BTp a prezzi stracciati, le banche hanno un’esposizione elevata sul proprio rischio-Paese che però rende molto bene (ed è finanziata a tassi bassissimi) e non hanno granché voglia di disfarsene. Infine anche i risparmiatori italiani potrebbero in prospettiva decidere di aumentare i titoli di Stato in portafoglio per alleggerirsi dai senior bond bancari soggetti al bail-in o per uscire da quelle gestioni patrimoniali o fondi dove le commissioni sono troppo onerose rispetto ai bassi rendimenti offerti.

Per rafforzare le fondamenta degli Stati Uniti d’Europa, ed evitare che Grecia, Portogallo, Spagna, Italia e Francia vadano avanti in ordine sparso, non basterà creare la poltrona del ministro delle finanze europeo. E non basta ora neanche il Qe. Serve una genuina irreversibile condivisione dei rischi. I mercati non sembrano essere disposti a ulteriori compromessi.

© Riproduzione riservata