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La flessibilità, le polemiche e il moltiplicatore fiscale

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La flessibilità, le polemiche e il moltiplicatore fiscale

Itoni polemici con cui il governo italiano e la Commissione europea si stanno scontrando sono molto più di un incidente formale. Sono un errore di politica economica.

Il tema della flessibilità di bilancio è d’altronde carico di emotività politica, entrano in questione considerazioni fondamentali sul rapporto tra stato e cittadini, sulla sovranità fiscale e sulla distinzione tra destra e sinistra. Se vi chiedono se siete a favore o contro la flessibilità di bilancio, vedrete negli occhi del vostro inquisitore avanzare armato un intero apparato ideologico a cui è difficile opporre l’unica risposta tecnicamente sensata: «più flessibilità? Dipende dalla stima del moltiplicatore fiscale». La scelta tra austerità e flessibilità dipende infatti dalla stima delle variazioni del reddito causate (moltiplicate, appunto) da una riduzione o da un aumento dello stimolo fiscale. Se il moltiplicatore fosse pari a 0,5 significherebbe che una riduzione della spesa pubblica di un punto di pil avrebbe ridotto il reddito di solo mezzo punto di pil. Il calo del reddito avrebbe attivato anche un po’ di spesa in ammortizzatori sociali o avrebbe indotto un calo delle entrate fiscali, pari a circa il 40% del calo del reddito e quindi pari a 0,2 punti di pil. Il risultato della “manovra” sarebbe stato quindi un disavanzo migliorato dello 0,8% a fronte di un calo del reddito di mezzo punto. Un guadagno di stabilità pagato a caro prezzo, ma politicamente realizzabile in condizioni di necessità.

Se invece il moltiplicatore fosse stato l’1,5%, allora il calo di un punto di pil nella spesa avrebbe tagliato il reddito dell’1,5%, ciò a sua volta avrebbe comportato minori entrate o maggiori spese per 0,6 punti di pil. A questo punto il deficit sarebbe migliorato solo dello 0,4% ma l’economia sarebbe finita in recessione profonda con conseguenze molto negative sul consenso politico. In conclusione, se il moltiplicatore è basso ha senso l’austerità, ma se è alto il debito si riduce aumentando la spesa anziché tagliandola. Nel caso della flessibilità richiesta dal governo italiano, cioè maggiore spesa o minori tasse, ben venga se il moltiplicatore è alto.

Il problema è che non è facile avere una stima affidabile del moltiplicatore. Le cifre dell’esempio non sono casuali. A partire dal 2010 i modelli usati nei programmi di aggiustamento dei Paesi dell’euro-area stimavano un moltiplicatore dello 0,5 e quindi legittimavano politiche di severa austerità. Dopo uno studio del 2012 pubblicato dal Fmi, si è proceduto a una revisione drastica osservando che »i moltiplicatori impliciti nelle previsioni erano sottostimati, in media, di circa un’unità», quindi dovevano essere vicini all’1,5. Sappiamo che l’errore ha avuto conseguenze drammatiche. Come se non bastasse, non esiste un solo moltiplicatore per ogni economia, ma l’effetto sul reddito della politica fiscale cambia a seconda delle circostanze: dipende dalle condizioni strutturali dell’economia, dalla fase del ciclo (è più alto quando si è in recessione), così come dalle dimensioni della manovra. Dalle evidenze empiriche emerge che gli effetti delle politiche fiscali cambiano se si è in una situazione di stress finanziario, se le condizioni del credito sono difficili, se il sistema bancario è vulnerabile, se la politica monetaria è restrittiva, oppure se esistono ragioni specifiche, anche di natura politica, che influenzano le decisioni di consumo delle famiglie. De Long e Summers, in uno studio pubblicato per Brookings e molto incline all’attivismo fiscale, riconoscono tuttavia un’ampia variabilità del moltiplicatore che infatti cambia significativamente a seconda della fase del ciclo economico. L’aspetto più interessante nei rapporti tra l’Italia e la Commissione europea è proprio che esistono effetti di breve termine che non sempre vanno bene nel lungo termine. La flessibilità quindi non può essere permanente. Perché se dopo la recessione non rientra, finisce per produrre solo debito pubblico quando l’economia si riprende e il moltiplicatore si azzera.

Questo forse spiega il pasticcio in cui ci siamo ficcati. Va bene la flessibilità, perché in Italia il moltiplicatore può essere alto (troppa perdita di reddito negli anni passati, utile il tentativo di stabilizzare il credito e bene il fatto che i tassi siano a zero). Molto bene anche la giustificazione degli investimenti. Su questo tipo di flessibilità la Commissione europea dovrebbe schierarsi esplicitamente con Roma e in particolare proprio Juncker il cui piano di investimenti non si dimostra efficace. Tuttavia al tempo stesso il governo italiano deve riconoscere che la flessibilità (in parole non mascherate, la violazione degli obiettivi di medio termine concordati) non può essere uno stato permanente e va condizionato all’obiettivo di stabilità fiscale di lungo termine, cioè alla riduzione del debito che infatti è l’obiettivo del ministro Padoan. Se lo scontro polemico mette in dubbio l’equilibrio tra politiche di breve e di lungo termine, si mette a rischio anche l’efficacia della flessibilità conquistata.

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