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L' ipoteca della bassa crescita

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IL COMMENTO

L' ipoteca della bassa crescita

C'è o no un caso-Italia nella tempesta che scuote i mercati finanziari e bancari di un mondo che viaggia a tassi zero e che sembra di nuovo in ripiegamento tra violente tensioni geo-politiche?

In termini di crescita, per stare alla notizia di giornata, cioè agli attesi dati Istat ed Eurostat sull'andamento del Prodotto interno lordo (Pil) nel quarto trimestre 2015, la risposta è sì.

L'anno è terminato a quota +0,7% (+0,6% tenuto conto della correzione per gli effetti del calendario), mentre il Governo aveva indicato un +0,9%. L'ultimo trimestre 2015 ha fatto +0,1% (il peggiore di un anno in discesa secondo la sequenza +0,4%, +0,3%, +0,2%) e prospetta per il 2016 (il Governo prevede un +1,6% finale ma la cifra è destinata a calare, e non di poco) una variazione acquisita del +0,2%. Europa ed eurozona hanno fatto meglio (entrambe +0,3%, come la Germania che conferma per il 2016 una crescita dell'1,8%).
Vero è che nel 2015 è tornato il segno “più” davanti al Pil dopo tre anni di recessione profonda ma la festa, se così si può dire, finisce qui. I dati della crescita sono oggettivamente deludenti e destinati a ripercuotersi – in vista del verdetto a maggio - sul confronto tra Roma e Bruxelles sulla flessibilità e sul progetto di bilancio per il 2017. Inferiore è la crescita, minori sono le possibilità di centrare gli obiettivi in termini di rapporti di deficit/pil e soprattutto di debito/pil, la cui diminuzione prevista dall'esecutivo Renzi, dopo sette anni di ascesa continua, rappresenta molto di più di un positivo dato contabile.

Sarebbe questa la prova-regina, dopo oltre due anni di governo, che il premier italiano ha davvero fatto “cambiare verso” all'Italia e che le sue riforme funzionano. Si possono fare molti ragionamenti sulla velocità di crescita del debito pubblico negli ultimi anni (quella dell'Italia inferiore rispetto alla media degli altri paesi) e sulla sua composizione, ma è del tutto evidente che nell'attuale fase di turbolenza che attraversa sia i rapporti politici tra Italia e Europa sia i mercati, lo stop del debito italiano rappresenta uno spartiacque. Rozzo quanto si vuole ma tanto comprensibile per tutti quanto “impugnabile”, nel caso di ulteriori sforamenti, come prova che l'Italia, in fondo, resta un socio poco affidabile. Ieri come oggi.
«L'Italia ha rimesso a posto la casa, ha riparato il tetto, non piove più, noi non siamo l'epicentro della crisi», ha detto il premier. Però, se non basta, in un'Europa dove anche le asimmetrie interpretative e i doppiopesismi politici sono una realtà con la quale fare i conti? Crescita troppo bassa, deficit in aumento rispetto alle previsioni e debito troppo alto sprigionano una miscela esplosiva, e non c'è brillante narrazione che la possa diluire. In un titolo del “Wall Street Journal” è comparsa nei giorni scorsi la parola “Renzit” a corredo di un'analisi sulla disaffezione per i titoli azionari italiani, bersagliati più degli altri sui mercati. E non è un caso che la questione del debito pubblico – di nuovo emersa anche in termini di spread in compagnia di Spagna e Portogallo- si affacci pericolosamente nei piani della Germania volti a prezzarne i rischi (e fissando limiti quantitativi) nei titoli di stato detenuti dalle banche. Progetto che finisce dritto al cuore degli istituti di credito italiani che già devono fronteggiare – al pari delle altre banche europee- il nuovo sistema del “bail in “, il salvataggio interno.

Dietro le quinte, al di là delle asprezze verbali, Roma e Bruxelles trattano e non è certo interesse dell'Europa, e della Germania, che la terza economia del Continente, con il suo debito altissimo, venga messa con le spalle al muro scatenando un terremoto di cui nessuno sarebbe in grado di prevedere tutte le conseguenze. Ma farebbe male il Governo a sottovalutare la miscela esplosiva innescata dalla bassa crescita che nelle ultime settimane ha preso a dilatarsi sui mercati. Su due piedi è impossibile dare un taglio secco al debito. Però cosa impedirebbe una coraggiosa e strutturale politica di tagli fiscali per far ripartire gli investimenti delle imprese a fronte di una revisione della spesa altrettanto ambiziosa? La bassa crescita non è buona neanche per le slide, la credibilità è quello che serve oggi sui mercati.

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