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La grande solitudine di Merkel in Europa

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l’analisi

La grande solitudine di Merkel in Europa

Sono «i giorni del giudizio» per Angela Merkel, secondo il conservatore Frankfurter Allgemeine Zeitung spesso allineato, recentemente, con i critici più severi del cancelliere. Ed è vero che mai, in quasi 11 anni al potere, il capo del Governo tedesco si è trovato così isolato in Europa e in casa propria. La “regina senza corona” d’Europa è stata spodestata, scrive ancora la Faz. A buttarla giù dal podio dove finora aveva condotto l’orchestra europea, la questione dei rifugiati.

Ieri in Parlamento, dove il numero degli scettici cresce soprattutto nel suo partito, la Cdu, e nella gemella bavarese Csu, la signora Merkel ha ripetuto che «spesso ci vuole tempo per trovare le soluzioni ai problemi, ma ne vale la pena». È il suo mantra da sempre, anche se non è detto che stavolta giocare sui tempi lunghi le sia possibile. Ieri il cancelliere non ha rinnegato la sua posizione di fondo: «Chi ha bisogno e cercherà protezione, dovrà riceverla». Però otto mesi dopo la sua proclamazione di porte aperte e il lancio dello slogan “Ce lo possiamo fare”, e dopo oltre un milione di arrivi, sono molti i dubbi sulle possibilità di successo della sua strategia basata su tre pilastri: combattere le cause che generano la fuga dei profughi dalla Siria e dall’Iraq(e domani, probabilmente, di nuovo dalla Libia); controllare i confini esterni della Ue, soprattutto in Grecia e in Turchia, frenando gli afflussi; regolamentare la ripartizione nella Ue. Nessuno di questi tre elementi sta funzionando, o funziona con la rapidità necessaria per disinnescare una bomba a tempo politica.

Al vertice europeo, Angela Merkel arriva con pochi amici. Il premier francese Manuel Valls è venuto a Monaco a spiegare che la Francia prenderà i 30mila profughi concordati e non uno di più. Il presidente del Consiglio italiano, Matteo Renzi, ha fatto dell’azione di disturbo nei confronti della Germania una tattica di recupero di consenso. I Paesi dell’Est sono nettamente sul fronte opposto, con il premier ungherese Victor Orban il più aspro critico della signora Merkel, anche se la riunione del gruppo di Visegrad (Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca e Ungheria) ha un po’ smorzato i toni. Persino l’alleato austriaco, il cancelliere Werner Faymann, nell’annunciare controlli più severi ai confini e un tetto agli ingressi ha lanciato una premonizione: «La Germania farà come noi». È quello che Angela Merkel ha finora rifiutato, nella sua ricerca di una soluzione europea. Il tentativo di coagulare un gruppo di Paesi “volonterosi” per la ripartizione dei profughi, una volta tamponati gli arrivi con l’aiuto della Turchia (altro anello debole della strategia del cancelliere), appare un po’ come un’ultima spiaggia per l’attuale linea di Berlino. L’apertura della signora Merkel ai rifugiati è stata unilaterale, il problema se lo risolva da sola, dicono le sue controparti meno accomodanti.

L’opposizione in Europa si è saldata con quella interna: la rappresentazione più evidente si è avuta con il leader bavarese, Horst Seehofer, fianco a fianco con Orban e freddo al limite dell’insolenza nei rapporti con la signora Merkel. Sullo sfondo la crescita degli xenofobi di Alternative für Deutschland, che sono ormai in doppia cifra anche a livello nazionale, e ben al di sopra nelle regioni dell’Est. Le elezioni regionali del 13 marzo in Baden-Württemberg, in Renania-Palatinato e in Sassonia-Anhalt si sono trasformate in una sorta di referendum sulla politica del cancelliere sui rifugiati. La sua popolarità è scivolata ai minimi da quattro anni, soprattutto dopo le violenze di Capodanno a Colonia contro centinaia di donne a opera di bande di immigrati, e quel che più preoccupa i suoi colleghi di partito, l’unione Cdu/Csu è scesa nei sondaggi sotto il 35%, dal 41%. Qualcuno ventila la possibilità che la signora Merkel debba sottoporsi all’umiliazione di un voto di fiducia, ipotesi che le persone a lei più vicine smentiscono seccamente. A suo favore gioca per ora la mancanza di una vera alternativa, mentre potrebbe essere proprio il voto regionale, nello scenario non impossibile che la Cdu si aggiudichi due Länder su tre, a far guadagnare alla signora Merkel un po’ del tempo di cui ha bisogno. Senza dimenticare che, arrivata alle elezioni del 2013 sulla scia di una sequela di sconfitte regionali, il cancelliere ha poi centrato la riconferma sfiorando la maggioranza assoluta. E il prossimo voto politico sarà in autunno 2017.

Il numero chiave, più dei suffragi e dei sondaggi, è quello degli arrivi dei rifugiati: se resterà attorno ai 2mila al giorno e non esploderà con la bella stagione, se un minimo di cooperazione europea e con la Turchia comincerà a funzionare (e sono tutte grosse incognite), forse Angela Merkel può sperare che si avveri la dichiarazione del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, alla “Bild”, il quotidiano popolare che finora ha continuato a sostenere la linea del cancelliere, un alleato importante: «La storia le renderà giustizia. La sua posizione sui rifugiati sarà ricordata come quella di Helmut Kohl sulla riunificazione tedesca». I tempi della politica, purtroppo per il cancelliere, non sono quelli della storia.

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