Commenti

Per grandi decisioni servono grandi leader

  • Abbonati
  • Accedi
il futuro dell’europa

Per grandi decisioni servono grandi leader

Oggi si terrà un Consiglio europeo (Ce) di cruciale importanza. Ha due soli temi all’ordine del giorno: approvare o meno il “Pacchetto Tusk” relativo al negoziato tra Gran Bretagna e Unione Europea e giungere a una decisione su aspetti cruciali della politica da adottare nella crisi dei rifugiati. Si tratta di un Consiglio europeo importante anche per l’Italia e la sua strategia europea. Infatti, se il nostro obiettivo è quello di promuovere politiche espansive, ciò richiede un’Eurozona forte e coesa, capace di prendere decisioni senza poteri di veto interni ed esterni. Nel contesto di una Ue che abbia ritrovato il senso della solidarietà che dovrebbe saldare insieme i suoi membri, in particolare di fronte ad emergenze umanitarie come quella dei rifugiati. Vediamo perché quei due temi sono importanti.

Cominciamo dal cosiddetto Brexit. Il “Pacchetto Tusk” è il risultato di un negoziato tra il premier britannico Cameron e il presidente del Ce Tusk finalizzato a dare al primo argomenti per fare una campagna di successo contro l’uscita della Gran Bretagna dalla Ue (in un referendum che dovrà tenersi non oltre il 2017, ma probabilmente già prima dell’estate prossima). Va detto subito che l’assunto del negoziato, sul versante britannico, è poco plausibile. Gran parte delle indagini di opinione e delle analisi politologiche di cui disponiamo mostrano che la scelta degli elettori britannici sarà poco influenzata dai risultati di quel negoziato. Anzi, dopo che questi ultimi sono stati resi pubblici la settimana scorsa, gli elettori favorevoli all’uscita sono addirittura cresciuti del 9 per cento (e di una percentuale ancora di più alta tra gli elettori conservatori). I risultati del negoziato potranno probabilmente influenzare alcuni elettori incerti, ma su una questione così esistenziale per quel Paese il cambiamento di opinione non sarà promosso da un accordo diplomatico. Quell’accordo, invece, potrà avere conseguenze sulla Ue e in particolare sull’Eurozona.

Il “Pacchetto Tusk”, infatti, istituzionalizza un’asimmetria di poteri tra Gran Bretagna e Ue (a favore della prima) che è poco giustificabile (oltre che incostituzionale). Quel Pacchetto configura un cambiamento di fatto dei Trattati senza che siano stati consultati né il Parlamento europeo né i parlamenti nazionali (e non cambia molto il fatto che alcuni emendamenti “informali” di parlamentari europei siano stati presi in considerazione dai due negoziatori). Due esempi di asimmetria. Primo, viene riconosciuto alla Gran Bretagna, che conserverà la sua sterlina, un potere di interferenza, o comunque di condizionamento, nelle scelte di politica finanziaria dell’Eurozona, senza però che avvenga il contrario. La Gran Bretagna potrà avere una voce nella regolamentazione finanziaria dell’Eurozona, senza che quella regolamentazione sia estesa alle sue istituzioni finanziarie. Oppure potrà condizionare le politiche di bilancio dei Paesi dell’Eurozona, senza essere tenuta a contribuire ai costi del loro riaggiustamento. Secondo, la Gran Bretagna potrà porre vincoli alla libera circolazione al suo interno dei cittadini degli altri Paesi europei (con il cosiddetto “freno di emergenza”), mentre questi ultimi non potranno (né vorranno, si spera) fare altrettanto nei confronti dei cittadini britannici che entrano nei loro paesi. Infine, in quel Pacchetto, la Gran Bretagna ottiene un’interpretazione così superficiale della finalità del processo di integrazione, da mettere in discussione la profonda ragione storica di quest’ultimo. Se il Pacchetto venisse approvato così come è, il risultato sarebbe poco significativo per i britannici ma potenzialmente devastante per la Ue e l’Eurozona in particolare.

Ma anche il secondo punto all’ordine del giorno potrebbe portare a decisioni o non-decisioni altrettanto negative. La crisi dei rifugiati (e più generalmente migratoria) è stata utilizzata dalle forze nazionaliste e xenofobe per criticare l’intero progetto di integrazione. La radicalità di quelle forze, alimentata dalla rilevanza di flussi di migranti arrivati in Europa, è giunta a mettere in discussione la stessa esistenza dello spazio Schengen senza il quale non potrebbe esserci il mercato unico. Quelle forze nazionaliste hanno cambiato l’agenda pubblica in quasi tutti i Paesi europei anche per la timidezza e ambiguità delle posizioni dei partiti e dei leader pro-europei. È stato il vuoto di leadership europea che ci ha portato alla crisi migratoria, oltre e più che il flusso di migranti. Sei Paesi hanno già sospeso (più o meno parzialmente) Schengen, altri si stanno accodando, altri ancora propongono di portare la sospensione fino ai suoi limiti legali (due anni). Se ciò avvenisse, l’Italia pagherebbe costi molti alti, essendo un Paese che (come la Grecia) ha confini difficilmente controllabili. Per questo motivo, è suo interesse che il Consiglio europeo di oggi inverta la direzione di marcia, dando mezzi, personale e risorse ad un’Autorità europea di gestione dei confini dell’Ue. Un’autorità che europeizzi finalmente gli hotspots, distribuendone i costi e la gestione anche tra i paesi che sono poco o punto colpiti dai flussi migratori. Solamente in questo modo, la facility di supporto al piano di azione a favore della Turchia potrà avere un impatto positivo.

Oggi, i leader europei dovranno prendere decisioni importanti. Colpisce che si siano giunti a decisioni di questa importanza sulla base di negoziati farraginosi (nel caso di Brexit) e di pulsioni elettoralistiche (nel caso dei rifugiati). Da sempre la Gran Bretagna (ed un gruppo di Paesi ad essa vicini, come quelli scandinavi o dell’est) dichiara la sua indisponibilità strutturale al progetto di integrazione politica. Autentici leader europei, invece di pasticciare un brutto negoziato, avrebbero concordato da tempo una differenziazione costituzionale tra un mercato unico aperto a tutti e dotato di una regolamentazione basilare ed un’unione monetaria coesa in quanto sostenuta da un’unione politica con i mezzi per sostenere politiche espansive. Autentici leader europei, invece di litigare su quanti rifugiati siriani accogliere nel loro Paese tenendo l’occhio sulle prossime scadenze elettorali, avrebbero concordato da tempo una politica migratoria comune, dotata di un bilancio comune (in quanto sostenuta da una tassa europea sostitutiva di tasse nazionali per le emergenze), gestita da un'autorità politica comune. Speriamo che le grandi decisioni facciano emergere leader che siano alla loro altezza.

© Riproduzione riservata