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Il rischio del patto tra due debolezze

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Europa e Londra

Il rischio del patto tra due debolezze

Sembrava, anzi alla vigilia molti lo davano per certo, che sarebbe stato tutto in discesa il vertice europeo anti-Brexit: quasi un atto notarile per apporre 28 firme in calce a un testo prenegoziato. Però, più l'appuntamento si avvicinava, più l'ottimismo facilone si dileguava, gli attriti tra Paesi membri si moltiplicavano fino alla drammatizzazione del “o la va o la spacca”, “adesso o mai più” che l'altro ieri ha aperto la riunione dei 28 leader dell'Unione. Un'altra giornata di trattative e infine ieri a tarda sera l'annuncio dell'accordo.

Che gli inglesi fossero negoziatori notoriamente coriacei lo si sapeva. L'Europa lo scoprì a sue spese ai tempi di Margaret Thatcher. E anche se forse oggi il Regno di sua Maestà non è più quello di allora, David Cameron nella partita si giocava la carriera: non poteva rientrare a Londra a mani semi-vuote e nemmeno con un'intesa troppo esile per sostenere al referendum l'urto con un un paese largamente euroscettico.

Per questo al di là del solito mantra da tutti condiviso, e tra l'altro ripescato dal laburista Tony Blair, sull'Unione meno burocratica, più semplice nelle regole e competitiva nelle politiche, Cameron voleva ben altro: un largo rimpatrio della sovranità nazionale su mercato unico, integrazione dei servizi finanziari e banche, libera circolazione dei lavoratori con benefici sociali al seguito. Pur non volendo aderire alla moneta unica, pretendeva poi di non subire la supremazia del blocco euro e ancora meno la pulsione dei partner verso «un'Unione sempre più stretta», come da Trattati Ue.

Di bizzarro in questa battaglia c'era che, tra clausole di opt-out e meccanismi Ue per le cooperazioni rafforzate, Londra da anni vive in auto-isolamento da molte politiche europee. È difficile quindi afferrare la vera sostanza delle sue attuali rivendicazioni: a meno di non credere che l'obiettivo non sia la difesa da presunte prevaricazioni altrui ma la conquista di un diritto di veto su ambizioni presenti e future dei partner. «Vogliono prendere il meglio dei due mondi senza mai pagare dazio», riassume un negoziatore europeo.

Ed è proprio questo sospetto che ha provocato la generale levata di scudi al vertice: se la Gran Bretagna voleva rimpatriare la propria sovranità, i suoi interlocutori non erano certo disposti a svendere la propria e neanche quella europea finora faticosamente costruita.
Era partito da qui un braccio di ferro interminabile, con la Francia di Hollande capofila del partito schierato a tutela degli interessi collettivi continentali, Germania e Italia comprese, non meno che di quelli nazionali : niente regali all'insularità britannica, che di mezzo ci sia la City, il codice europeo unico di regolamentazione bancaria (impossibile raddoppiarlo), l'integrità del mercato unico finanziario e non, la libertà europea di fare salti in avanti, con chi lo voglia, verso un'Unione sempre più compatta e coesa.

Meno netta invece l'opposizione alla richiesta inglese di limitare temporaneamente i benefici sociali per i lavoratori Ue. I 13 anni rivendicati da Londra ma bocciati senza appello dai Paesi dell'Est sono diventati 7. Se in questo caso Cameron ha incontrato meno resistenza in difesa del principio fondamentale della libera circolazione delle persone è perché altri Paesi, Danimarca in primis ma anche alcuni laender tedeschi, intenderebbero copiarne il modello.

La verità è che oggi l'Europa prova a fare la voce grossa perché sa di giocarsi nel negoziato con gli inglesi la credibilità del suo progetto integrativo e un'identità esistenziale già messa a durissima prova da profonde divisioni e nazionalismi interni sempre più aggressivi. In realtà da tempo l'Europa è diventata molto più inglese di quanto non appaia a prima vista. Molto più liquida e meno governabile rispetto anche solo a dieci anni fa. Paradossalmente questa entità allo sbando e priva di collanti che accomunino, lenta nelle decisioni e scarsa di leadership ora che Angela Merkel traballa sotto il peso della politica di apertura ai profughi, dovrebbe piacere agli inglesi che dovranno decidere se uscirne o no. Invece sembra che in questo agglomerato confuso e anarcoide, che gioca a scaricabarile sui rifugiati, molti non vedano oggi l'interesse né l'utilità di restare.

Alla fine l'accordo è arrivato. Senza vincitori né vinti. Un patto tra debolezze contrapposte, comuni a chi vuole più Europa come a chi ne vuole meno. Forse non valeva la pena di spendere tanto tempo per cambiare qualcosa che non cambiasse quasi niente.

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