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L’Italia e i richiami rivoluzionari di Draghi

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meno fisco più investimenti

L’Italia e i richiami rivoluzionari di Draghi

A volte, i richiami in apparenza scontati, per non dire banali, nascondono una carica rivoluzionaria. È il caso dell’ultimo intervento del presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi, al Parlamento europeo: «Sta diventando sempre più chiaro che le politiche fiscali dovrebbero sostenere la ripresa economica attraverso investimenti pubblici e un’inferiore tassazione».

Diciamo che è sempre stato chiaro, perché non si è mai vista una ripresa forte e stabile, soprattutto in uscita da una recessione tremenda come quella che abbiamo sperimentato, ottenuta attraverso maggiori tasse e minori investimenti pubblici. Infatti, è quello che è successo in Italia dopo lo scoppio della crisi nel 2007-2008: le tasse sono salite, gli investimenti pubblici sono scesi e la ripresa vera non s’è vista e ancora la cerchiamo.

Di sicuro il governo Renzi, che taglia ora il traguardo dei due anni di attività, ha cambiato la direzione di marcia della politica economica (nel senso di meno austerity e meno tasse, per semplificare) e ha ricominciato a scommettere sugli investimenti pubblici. Ma è altrettanto un fatto che la crescita del Prodotto interno lordo nel 2015 (+0,6%, il primo “più” dopo anni, ma grazie anche alla politica accomodante della Bce) e le prospettive per il 2016 (il Governo ha indicato quota +1,6%, però sa benissimo che sarà inferiore, anche perché è in frenata tutta l’economia mondiale) segnala un passo insoddisfacente, soprattutto se rapportato ai trend di quasi tutti gli altri Paesi europei. Insomma, torniamo dritti al richiamo generale di Draghi (vale anche per il piano europeo Juncker sugli investimenti, di cui si sono perse le tracce) che calza a pennello per l’Italia, ferma restando la necessità di non scassare la finanza pubblica: abbassate le tasse e fate più investimenti pubblici. Atto per l’appunto rivoluzionario, se si guarda alla stratificazione di un Paese tartassato oltre ogni misura, bloccato da una dotazione infrastrutturale insufficiente e punteggiato da opere grandi e piccole rimaste incompiute (e che hanno comunque dilapidato risorse pubbliche).

Se sulla necessità di tagliare la pressione fiscale sulle famiglie e sulle imprese, in particolare puntando a ridurre strutturalmente il cuneo fiscale che grava sul lavoro, si è molto discusso, più in ombra è rimasto il tema degli investimenti pubblici, strategici anch’essi per restituire competitività al sistema Italia. «Recuperare adeguati livelli di intervento pubblico nel campo delle opere – ha detto nei giorni scorsi il presidente della Corte dei conti, Raffaele Squitieri- non rappresenta solo una condizione chiave per il rispetto della clausola europea sugli investimenti richiesta dal Governo, ma costituisce anche, e soprattutto, la condizione per ottenere adeguati livelli di crescita». Anche in questo caso la puntualizzazione sembra ovvia, ma così non è. Alle spalle, i dati Eurostat dicono che a fine 2009 gli investimenti pubblici assommavano a 54 miliardi e che cinque anni dopo, nel 2014, erano scesi a 35. Di pari passo con l’aumento della pressione fiscale, è andato in onda l’altro aggiustamento: come prima mossa per contenere la spesa pubblica le forbici si sono accanite sulla voce più facile da sopprimere perché, riguardando il futuro, non tocca gli interessi costituiti di una moltitudine di categorie per le quali si spende volentieri in cambio di consenso politico-elettorale a breve.

Faticosamente il governo Renzi ha invertito questa tendenza (gli investimenti fissi lordi dovrebbero risalire nel 2016 a quota 38 miliardi) e di questo gli va dato atto. Ma non è a questo punto solo questione di risorse assegnate in bilancio. La corruzione in questo campo resta un’emergenza da affrontare con determinazione quotidiana. E comunque i soldi vanno spesi in tempo e bene per progetti utili, evitando che su questo terreno l’Europa ci metta all’angolo perché colpevoli di inettitudine.

Non è un reato previsto dal Fiscal compact, ma sui tavoli di Bruxelles e sui mercati il rinvio a giudizio è sempre dietro l’angolo. Tenerne conto non guasta, soprattutto ora che l’Italia, già in cerca di ripresa, punta a contare di più.

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