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Un accordo ambiguo Ora più poteri all’Eurozona

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L’ANALISI

Un accordo ambiguo Ora più poteri all’Eurozona

Il Consiglio europeo ha trovato l’accordo sulla risposta alle richieste della Gran Bretagna. Il comunicato finale presenta notevoli margini di ambiguità, come è consueto nei testi lungamente limati per trovare un compromesso accettabile da tutti. Tuttavia, su un’estensione in qualche misura differita dello stato sociale agli immigrati e sulla libertà per l’Inghilterra di mantenere il proprio regime fuori dalla moneta unica la risposta è stata sostanzialmente positiva. L’eventuale eliminazione dell’obbiettivo di una “unione sempre più stretta” può a prima vista apparire contraddittoria rispetto al disegno originale dei padri fondatori, ma può anche interpretarsi in modo meno negativo se si considera che la struttura di stampo federale che l'Unione ha in parte già assunto (mentre in parte tuttora manca) non comporta, di per sé, un’unione sempre più stretta. Il vero obbiettivo al quale si deve puntare è il raggiungimento del giusto livello di integrazione, raggiunto il quale essa avrà conseguito la “velocità di crociera”, o meglio l’assetto stabile che ancora non c’è. Non si tratta di creare un Superstato bensì una struttura federale compiuta, che mantenga ampie autonomie per gli Stati nazionali. Positiva è stata nel vertice la reazione di alcuni governi dell’Eurozona, contrari a consentire che il governo inglese possa ingerirsi nelle decisioni relative alla gestione della moneta unica: chi è fuori dall’euro non può pretendere di governarlo. Naturalmente è incerto l’esito del referendum inglese. Le pulsioni sono forti e soffiano per respingere l’accordo. Ma gli inglesi sono un popolo pragmatico, tutta la loro storia lo dimostra. E i vantaggi di rimanere entro l’Unione sono talmente prevalenti per l’economia inglese e per la stessa futura vita politica dell’Isola britannica - incluso il rischio che la Scozia in caso di distacco dall’Unione si distacchi a sua volta dalla casa madre - che riteniamo più probabile un esito positivo, sia pur di misura. Cameron ha dimostrato di essere un leader accorto e può vincere questa partita. Sulla libera circolazione delle persone, come sulle migrazioni, per le quali già oggi la Gran Bretagna ha un regime speciale, è agevole vedere che l’ambiguità delle non-scelte del vertice ha un’altra origine. Il problema è divenuto cruciale per tutti, perché è chiaro che il fenomeno migratorio sarà di lunga durata e di ardua governabilità. Ma il ristabilimento di frontiere interne permanenti significherebe, idealmente e concretamente, la fine del disegno di unione.

Tocchiamo qui il punto centrale. I veri nodi dell’Unione sono oggi la sicurezza interna, le migrazioni, le tensioni ai margini dell’Europa, la crescita insufficiente, la disoccupazione soprattutto giovanile. Sono pericoli reali, ognuno dei quali minaccia la sopravvivenza dell’Unione stessa. I rimedi sono semplici da enunciare: occorre dotare l’Eurozona (e chi vorrà adeguarsi) di quei poteri di intervento, di quei mezzi finanziari, di quegli strumenti di difesa che solo a livello sovranazionale possono venir predisposti, nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà. Un governo europeo dell’economia, una vera fiscalità europea - lo hanno ipotizzato persino i governatori delle Banche centrali di Germania e di Francia, lo ha ripetuto più volte Mario Draghi, lo ha affermato lo stesso ministro Schäuble - e inoltre: un bilancio dell’Unione accresciuto e indirizzato ad investimenti in beni pubblici europei; una difesa comune; decisioni democraticamente legittimate dal Parlamento europeo; abolizione del potere di veto entro i Consigli. Nulla di più, ma nulla di meno di questo: nel segno, si noti della continuità con quanto l’Unione ha conseguito in sessant’anni di integrazione.
Occorrerà anche modificare i Trattati. Il Parlamento europeo sta lavorando ad una proposta. Ci vorranno anni. Ma la direzione giusta e costruttiva può e deve essere imboccata già da subito, con le normative del Trattato di Lisbona. È indispensabile che anzitutto i governi di Francia e Germania si muovano, con il contributo fattivo del governo italiano.
È chiedere troppo? Non lo crediamo. Solo così si può pensare di affrontare con speranza di successo le gravi sfide che si sono aperte; e di ricostituire per l’Europa il consenso dell’opinione pubblica che ormai rischia di svanire. Su questo fronte si gioca non tanto il futuro dell'Unione quanto il futuro dei cittadini europei.

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