Il 2015 è stato un anno record per fusioni acquisizioni, 5mila miliardi di dollari a livello globale, al di sopra del precedente record, 4.700 del 2007. Nel 2008 il crollo e la crisi. Ci risiamo? possibile che oggi con volatilità, pericolo recessione, drammatici sviluppi geopolitici che confluiscono in questo primo scorcio di 2016 ci sia un altro problema globale? Con un pericolo per noi, l’Italia percepita come un rischio più esposto a un peggioramento delle vulnerabilità del nostro tempo, potrebbe soffrire più di altri. Vero? Falso? Falso, soprattutto oggi. Ma con realismo.
Ieri a New York si è parlato di questo, di rischi, pericoli e opportunità per il nostro paese nel contesto della volatilità globale, ma la conclusione americana è che oggi siamo in una posizione molto diversa rispetto a quella di alcuni fa. Sul piano globale, c’è «una enorme riserva di liquidità sia sul piano aziendale con oltre 1.300 miliardi di dollari, che su quello finanziario con cassa pronto a tornare in borsa». Per l’Italia, molte riforme importanti sono state introdotte, il sistema paese è percepito come più solido, esportiamo beni per 400 miliardi con un surplus di 100 miliardi ma c’è un caveat, mai peccare di ottimismo, mai abbassare la guardia, altrimenti «si può confondere un auspicio, quello di fare meglio, con la realtà», come ha osservato Roberto Napoletano, il Direttore del Sole 24 Ore, anche lui a questo convegno su opportunità e nuovi paradigmi italiani, organizzato da Italian Business and Investment Initiative.
L’avvio sembra polemico, quando viene chiesto a Stein, capo di investment banking di J.P. Morgan quale sia l’interesse specifico di un investitore sull’Italia. Risposta: «zero». Poi qualifica: un investitore pensa in termini di settori e in termini regionali, se la combinazione dei due fattori coincide con l’Italia allora il vostro paese è anche meglio posizionato diciamo della Francia». Un contesto dunque che parla di Europa e supera il vincolo nazionale. E un contesto secondo Stein in cui l’Italia non è seconda a nessuno. Questo lo confermano alcuni degli oratori intervenuti al convegno: Max Ibarra di Wind ha raccolto ottime reazioni da parte degli investitori internazionali. «C’è fame di Italia, io mi accorgo di questo», dice. Lo stesso vale per Matteo Del Fante amministratore delegato di Terna: «Qui gli investitori si segnano tutto e controllano, se hai fatto meglio o se hai fatto peggio rispetto a quello che avevi promesso un anno prima. Risultati e serietà che sono le cose importanti», ha detto al Sole 24 Ore. Luigi de Vecchi responsabile dell’Europa continentale di Citi ci sarà presto un consolidamento delle banche in Italia: «Questione di settimane o mesi, questo farà scattare il ritorno degli investitori nel settore». Alessandro Castellano Ceo di Sace, conferma un sano realismo ottimista e ci dà una notizia: «Questa mattina ho appena ricevuto una richiesta di crediti all’export da parte della Boeing per sviluppare produzione di componentistica aerea in vari stabilimenti italiani. Pochi giorni fa abbiamo firmato un accordo per finanziare l’installazione di macchinari e impianti di GE destinati a sviluppare ulteriori produzioni nel settore Oil and gas in Toscana. Questo lo facciamo nelle due direzioni, per la produzione italiana all’export ad esempio negli impianti messicani di Fiat Chrysler. Si tratta di un “supply chain financing” che dimostra vitalità e competitività, non stagnazione». L’altro caveat è geopolitico, con due visioni a confronto, una disfattista di Ian Bremmer, guru del momento su questioni geoeconomiche: «Qui il problema non è il conflitto fra Arabia Saudita e Iran, è piuttosto se avremo ancora l’Arabia Saudita; ormai è troppo tardi per riparare la situazione, il contesto geopolitico potrà solo peggiorare, chiediamoci solo fino a che punto lo potremo contenere questo peggioramento». Dal podio gli risponde, giustamente, Marta Dassù che ha lavorato come sottosegretario agli Esteri nei governi Monti e Letta: «Il quadro che ci da Bremmer è catastrofico ed è eccessivo. Credo che molte cose si potranno fare. Basta che l’Europa resti unita, che continui il dialogo con Washington che vuole un’Europa forte e contenga allo stesso tempo la Russia che vuole un’Europa debole».
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