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L’addio laico e sobrio di Milano a Eco

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i funerali dello scrittore

L’addio laico e sobrio di Milano a Eco

Sembrava nuotasse e invece stava riscrivendo un capitolo di un suo libro. Così Mario Andreose, l’editor che ha seguito per oltre trent’anni Umberto Eco, ha officiato, puntellandola con lo humor caro al Professore, la cerimonia laica con cui Milano ha dato l’addio al suo cittadino adottivo. E il primo ringraziamento, per aver arricchito la città, è giunto proprio dal sindaco Giuliano Pisapia.

Sobria, puntuale, come il feretro di legno senza lacca né borchiature, sormontato da fiori bianchi - accanto la toga e l’ermellino dell’Alma Mater -, la commemorazione aveva un che del suo scanzonato intelletto. Una compostezza asburgica si è diffusa nel cortile della Rocchetta nel Castello Sforzesco, a due passi dalla sua abitazione, tenendo lontana la spettacolarizzazione in voga ai funerali, con selfie annessi. Nessuna voce spezzata, proprio come lui avrebbe voluto, a parte la commozione gentile del nipote Emanuele, che si è interrogato sul peso di cotanto nonno, ringraziandolo per generosità e saggezza a nome della famiglia - la moglie Renate, i figli Carlotta e Stefano, e gli altri nipoti, Pietro e Anita.

Il massimo successo Eco - ha riflettuto l’amico Furio Colombo - forse lo riscosse in Cina, quando vide improvvisamente sostituirsi un manipolo di teste canute alla marea di chiome nere venuta ad omaggiarlo per Il nome della Rosa. La paura del regime che potesse trasmettere ai giovani il “virus” della conoscenza era la misura del suo potere. Lui, che «nei suoi silenzi guardava l’infinita biblioteca dentro di sé», come ha sottolineato il ministro della cultura Dario Franceschini; lui per cui «l’università era il luogo ideale e politico di valori condivisi», come ha ricordato il ministro dell’istruzione Stefania Giannini; lui che era diventato un classico, dopo aver definito classico «ciò che abbiamo odiato a scuola e ci allunga la vita da adulti», come ha riportato Francesco Ubertini, rettore dell’ateneo bolognese.

Moni Ovadia ha voluto ricordarlo come infaticabile diffusore di barzellette, perfino in terreno yiddish. Naturalmente la religione non c’entrava nulla, appartenendo Umberto Eco alla categoria degli atei, «che dio sicuramente preferisce ai credenti», ha spiegato l’attore milanese facendo sorridere Roberto Benigni, Nicoletta Braschi, Lella Costa, Piero Fassino, Gino Strada, Inge Feltrinelli, Andrée Ruth Shammah, venuti a omaggiarlo assieme a molti autori Bompiani, la sua casa editrice storica e lo stato maggiore de La nave di Teseo. Eco ne è stato tra i fondatori, «perché era un dovere, per regalare un futuro», ha rimarcato Elisabetta Sgarbi, direttore della nuova iniziativa editoriale, che il 27 farà uscire nelle librerie l’ultimo libro del professore, Pape Satàn aleppe. E in silenzio, senza mestizia si è svuotato il cortile dei tanti, di ogni età, molti dei quali in questi giorni hanno lasciato un fiore sull’uscio di casa.

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