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Chiesa e aziende, l’uomo al centro

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«fare insieme» e l’incontro con francesco

Chiesa e aziende, l’uomo al centro

Scrisse nel 1891 papa Leone XIII: «Come nel corpo umano le varie membra si accordano insieme e formano quell’armonico temperamento che si chiama simmetria, così la natura volle che nel civile consorzio armonizzassero tra loro quelle due classi, e ne risultasse l’equilibrio. L’una ha bisogno assoluto dell’altra: né il capitale può stare senza il lavoro, né il lavoro senza il capitale. La concordia fa la bellezza e l’ordine delle cose, mentre un perpetuo conflitto non può dare che confusione e barbarie».

Era l’enciclica Rerum Novarum, il fondamento della Dottrina Sociale della Chiesa e di quel “riformismo cattolico” basato sul dialogo tra i protagonisti – e quindi antitetico all’originale schema socialista della lotta di classe – che vede la luce nel bel mezzo della seconda rivoluzione industriale.

Un documento decisivo per la pastorale, così come lo è stata, un secolo dopo, la Centesimus Annus (1991) di Giovanni Paolo II, l’enciclica che segna una svolta nel pensiero dei pontefici su economia e imprese, oltre che sulla condizione delle persone, sempre al centro di tutto. «Molti beni non possono essere prodotti in modo adeguato dall’opera di un solo individuo, ma richiedono la collaborazione di molti al medesimo fine. Organizzare un tale sforzo produttivo, pianificare la sua durata nel tempo, procurare che esso corrisponda in modo positivo ai bisogni che deve soddisfare, assumendo i rischi necessari: è, anche questo, una fonte di ricchezza nell’odierna società. Così diventa sempre più evidente e determinante il ruolo del lavoro umano disciplinato e creativo e - quale parte essenziale di tale lavoro - delle capacità di iniziativa e di imprenditorialità» si dice in un passaggio che rivela il segno dei tempi.

L’uomo al centro, sempre: «È il suo disciplinato lavoro, in solidale collaborazione, che consente la creazione di comunità di lavoro sempre più ampie ed affidabili per operare la trasformazione dell’ambiente naturale e dello stesso ambiente umano». Karol Wojtyla lascia una traccia su questo percorso pastorale, raccolta dall’intero corpo della Chiesa: «La moderna economia d’impresa comporta aspetti positivi, la cui radice è la libertà della persona, che si esprime in campo economico come in tanti altri campi».

Seguiranno Benedetto XVI con la Caritas in Veritate (2009), scritta sull’onda della crisi, che doveva ancora dispiegare i suoi effetti più duri, e poi con Francesco la Evangelii Gaudium (2013) e Laudato Si' (2015), veri manifesti del pontificato degli “ultimi” e delle “periferie”, documenti planetari sulla condizione dell’uomo e della società. Tutti documenti che rivelano la grande tensione dei papi per le questioni del mondo, ognuno figlio del suo tempo eppure l’uno in continuità con gli altri, pensieri fondativi che mettono la Chiesa davanti all’instabilità vissuta dall’umano consorzio nel corso del tempo, dalle grandi crisi degli anni 30, via via attraverso la guerra e la ricostruzione fino ad arrivare alla società liquida e interconnessa di oggi, dove pure pesano le paure di nuovi conflitti che da asimmetrici stanno tornando tradizionali.

Francesco è il Pontefice che ha messo al centro della sua pastorale gli ultimi, “le periferie”, che denuncia ogni forma di schiavitù e di sfruttamento, che condanna “l’economia dell’esclusione”, “l’idolatria del denaro” e la finanza speculativa che genera ricchezza effimera. E dice chiaramente – come ha fatto nel recente viaggio in Messico – che serve lavorare insieme: «Tutto quello che possiamo fare per dialogare, per incontrarci, per trovare migliori alternative e opportunità è già una conquista che merita stima e risalto. Ovviamente non è abbastanza, ma oggi non possiamo permetterci il lusso di tagliare qualsiasi possibilità di incontro, di discussione, di confronto, di ricerca. È l’unico modo che abbiamo per poter costruire il domani». È una sfida per l’intera umanità, che deve affrontare problematiche sempre nuove e flussi migratori in grado di mutare rapidamente equilibri apparentemente consolidati. Una sfida anche per le imprese, in prima linea su questo fronte del cambiamento.

Domani 7mila imprenditori italiani incontreranno Papa Francesco nella Sala Paolo VI per il “Giubileo dell’Industria”. Un evento unico: è la prima volta in 106 anni di storia della Confindustria che le imprese dell’associazione sono ricevute insieme in udienza da un pontefice. Il presidente, Giorgio Squinzi, illustrerà al Papa il ruolo sociale di responsabilità delle imprese e la sfida che si gioca proprio sul terreno dell’innovazione sociale. Le parole-chiave sono “Fare Insieme”, che poi è anche il cuore del messaggio della Chiesa di Francesco verso i governi e gli attori dell’economia, per non erigere barriere d’ingiustizia ma per garantire all’uomo l’esercizio dei suoi diritti fondamentali. L’udienza di domani è preceduta dal Convegno di studi “Fare Insieme. Sviluppo Istruzione Lavoro”, oggi al Centro Congressi Agustinianum.

L’evento che vede l’industria incontrare direttamente il Santo Padre è l’ultima tappa, certamente la più evidente, di un lungo tragitto che la Confindustria in oltre un secolo ha compiuto nel definire all’impresa un solido ruolo sociale. Con la riforma Pirelli del ’70 si inizia ad affrontare questi temi, ma è con la riforma Mazzoleni del 1991 che prende piede l’idea che «gli imprenditori italiani intendono sottolineare che i valori di equità e solidarietà sociale fanno parte integrante di quella che è la loro concezione del capitalismo democratico come sistema che massimizza al tempo stesso la produzione della ricchezza e l'utilità sociale della ricchezza prodotta».

Per arrivare infine alla riforma Pesenti del 2015, che fissa tra le attività istituzionali anche «la partecipazione a politiche di valorizzazione della cultura della legalità e di sostenibilità etico-sociale, economico-finanziaria, ambientale ed energetica, come leve competitive per lo sviluppo del Paese». Insomma, l’associazione riafferma il suo ruolo anche d’interprete libero e laico del rapporto tra l’impresa e le dinamiche sociali che con essa interagiscono. Migliaia sono le storie e le esperienze spesso poco note di interventi nel sociale, dall’istruzione alla salute, dal recupero di beni culturali alle azioni di solidarietà per i più deboli. E i presidenti dell’associazione hanno sempre testimoniato questo spirito.

Il “padre” della moderna Confindustria, Angelo Costa, scriveva sul concetto di dovere e responsabilità dell’imprenditore: «Dio se ha voluto ripartire così differentemente i suoi doni agli uomini ha certamente previsto adeguate compensazioni che in parte possiamo intravedere anche se non conoscere. La prima fondamentale compensazione che ci appare è la maggiore responsabilità che l’uomo ha in funzione dei maggiori doni ricevuti, per sé e per il prossimo». E poi Adriano Olivetti e la visione che aveva dell’impresa: «… può l’industria avere dei fini? Vanno essi ricercati soltanto nell’entità dei profitti o non vi è nella vita della fabbrica anche un ideale, un destino, una vocazione?».

Sulla questione migratoria era intervenuto Gianni Agnelli, presidente di Confindustria dal 1974 al 1976, in un discorso tenuto al Senato nel gennaio 2002. «La questione migratoria è destinata a rimanere a lungo iscritta nell’agenda dei problemi globali. Ci chiediamo, dunque, come affrontarla. Certo non con soluzioni semplicistiche, come l’apertura indiscriminata delle frontiere o la loro chiusura ermetica (…) La mia convinzione è che investire nell’accoglienza e nell’integrazione degli immigrati – tanto più per l’Italia, uno dei Paesi a più bassa natalità e a più alto invecchiamento – sia il più importante banco di prova di una responsabile solidarietà. La solidarietà è doverosa».

E Giorgio Squinzi, presidente di Confindustria, alla vigilia dell’evento ha ribadito: l’unico vero antidoto alla speculazione è l’impresa. «In oltre 100 anni di storia di Confindustria è la prima volta che i nostri imprenditori incontrano il Papa. È un evento che mi emoziona molto, a livello personale, spero sia per tutti un momento di intima riflessione. Viviamo una fase delicata, il mondo e il nostro Paese stanno uscendo da una pesante crisi economica, generata dalla speculazione, dai profitti facili, una crisi che ha distrutto molte certezze e ha incrinato la fiducia delle famiglie, soprattutto dei giovani. A distanza di sette anni la speculazione finanziaria sta rialzando la testa e rischia di gelare i primi germogli di ripresa. L'unico vero antidoto è l’impresa».

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