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La doppia piramide per costruire il futuro

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Il volume. «Eating Planet»

La doppia piramide per costruire il futuro

Il filo rosso tra la tavola e l'effetto serra potrebbe sembrare fragile. Anche negli Stati Uniti dove pure, nel profondo del Paese, una consapevole cultura culinaria ancora fatica a emergere e il termine inquinamento alimentare - con un terzo della popolazione adulta considerato obeso - potrebbe trovare facile uso. Ma il cibo inquina per davvero. Più persino dei fumi di scarico delle automobili o del riscaldamento di abitazioni e uffici. E per la salute del pianeta, oltre che per il benessere dei suoi miliardi di cittadini-consumatori, una risposta sorprendentemente efficace può essere trovata in una dieta a noi cara, quella mediterranea.

Cercare risposte all'impatto ambientale e sociale dell'universo agroalimentare è la missione della nuova edizione - la seconda - del volume curato dalla Fondazione Barilla Center for Food & Nutrition (BCFN): “Eating Planet, Cibo e sostenibilità: costruire il nostro futuro”. Un volume presentato in inglese ad un pubblico internazionale nel terzo ristorante aperto dalla società a Manhattan, a Herald Square. «Barilla è molto attiva da 7-8 anni nella ricerca a tutto campo che riguarda il cibo, le persone e il pianeta e ha voluto raccogliere i più recenti contributi e dibattiti», ha detto il presidente della società, Guido Barilla. Nonché «proporre concrete azioni ai policymaker, al mondo del business e ai cittadini per dare vita a un futuro più sostenibile». Barilla stessa vuol dare l'esempio di una nuova responsabilità azendale: per i suoi prodotti ha ridotto il contenuto di zuccheri e grassi e il consumo di acqua dell'80 per cento. Soprattutto, ha però continuato il presidente, «è essenziale avere un pubblico informato, in grado di diventare parte della soluzione» a quelli che sono diventati i tre grandi paradossi globali che emergono quando si parla di cibo. Assieme all'abuso delle risorse naturali ci sono gli enormi sprechi, che stando alla Fao costano 2.600 miliardi di dollari l'anno, e la coesistenza di malnutrizione per due miliardi di persone e di un'obesità che su scala globale brucia invece altri duemila miliardi di dollari. A dare rilievo al lavoro della Fondazione è la collaborazione di autorità che vanno dal fondatore dello International Slow Food Movement, Carlo Petrini, al celebrity chef Jamie Oliver e all'ambientalista Vandana Shiva. Dati alla mano, il volume evidenzia come la produzione alimentare generi il 31% dei gas che oggi intrappolano il calore nell'atmosfera. Contro il 24% dei sistemi di riscaldamento e il 18% dei sistemi di trasporto. E tra i cibi più dannosi ecco le carni, piatto base di tanta cucina americana, il cui consumo comporta emissioni pari al 12,4% del totale.

L'adozione di una doppia piramide che incroci cibo e ambiente, i valori nutrizionali e le ripercussioni sull'ecosistema, mostra al contrario come sia proprio un equilibrato menù mediterraneo - fatto di «cibi estremamente interessanti e variegati», ricorda Barilla - a offrire maggiori benefici tanto agli individui quanto all'ambiente che li circonda. Eating Planet propone anche il ricorso a un Indice generale che, in alternativa al Pil, diventi la misura di una sostenibilità futura. Questo, forse, perché l'emergenza appare destinata soltanto ad aumentare con il passare del tempo: nel 2050 una popolazione mondiale in aumento - a 9,5 miliardi di persone - richiederà un'impennata del 70% nella produzione agricola. Impennata di cui è possibile immaginare le conseguenze “insostenibili” se mal gestita: il settore ha già visto raddoppiare le proprie emissioni nocive dal 1960 a oggi. Il rischio è che quel filo rosso che lega alimentazione e ambiente, invece di sfamare, possa strangolare il pianeta.

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