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«Negli Usa per restare primi nel mondo»

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«Negli Usa per restare primi nel mondo»

Marketing? Il meglio lo si apprende in America. Operazioni di acquisto societario? In America sono più semplici. Ricerche scientifiche per migliorare la qualità dell'alimentazione? L'America resta all'avanguardia. Nella sua storia aziendale la Barilla ha sperimentato ciascuna di queste “fasi” nel suo rapporto con l'America. Ora si prepara a una nuova fase di crescita che poggia su una piattaforma assemblata negli ultimi anni negli Stati Uniti e che punta su una rivoluzione strategica per l'azienda: il rapporto diretto con il cliente attraverso l'apertura di ristoranti. Per ora si sperimenta a New York, ma a medio termine l'obiettivo è di espandersi in altre città americane e possibilmente a livello internazionale. «Il primo schema per comprendere la funzionalità del nostro progetto di espansione vedrà la luce in tre-quattro anni, ed è l'inizio di un percorso più ampio. Abbiamo aperto tre ristoranti in un anno e mezzo a New York e ne apriremo altri due nei prossimi dodici mesi», mi dice Guido Barilla il Presidente del gruppo.

Che aggiunge: «bbiamo deciso di prendere tempo per mettere a punto i prodotti, organizzare le cucine, garantire ai nostri clienti cibi di qualità e servizio eccellente. Una metropoli come New York, con le sue complessità richiede molta attenzione e diventa per noi un banco di prova. Vedremo come andrà. Poi speriamo di aprirne degli altri».
Incontro Guido Barilla nel terzo ristorante aperto a New York, sulla 32esima strada fra Sesta e Settima Avenue, una posizione chiave per traffico di consumatori potenziali, zona uffici, ma anche a un passo da Macy's l'enorme grande magazzino, primo al mondo, e a un centinaio di metri dal Madison Square Garden sulla Settima Avenue. Gli altri ristoranti sono su 52esima strada e Sesta Av e sempre sulla Sesta Av fra 40 e 41esima davanti a Bryant Park. Il nuovo ristorante segue lo stesso modello degli altri: pratico, semplice, grande forno, fornelli per cucinare sul momento, self service, pasta ma non solo pasta, cucina mediterranea, tavolone centrale comunitario e tavoli in legno individuali.

Sul piano del marketing e dell'integrazione verticale l'approccio è da manuale. Si creano dei flagship store per rafforzare il marchio. Ma il percorso tradizionale per un gruppo che passa al servizio diretto del cliente è in genere quello di arrivare a una catena che può portare a rapidi e forti aumentii dei fatturati, soprattutto se dopo il periodo di rodaggio si passa al franchising. Guido Barilla non vuole fare riferimento a quel modello, in questo momento preferisce restare nel perimetro dell'esperimento attuale che, aggiunge, apre fin da subito una nuova dimensione nel rapporto con il cliente: «Il pensiero iniziale è quello di avvicinarci alle persone per dare i nostri prodotti direttamente alla gente cercando di capire quali sono le reazioni. Barilla fa prodotti in scatola ormai da 70 anni. Ma non avevamo mai avuto l'esperienza diretta di fornire un cliente. Questo aiuta la percezione del brand, fa conoscere le nostre ricette, rafforza il marchio. Più ci si avvicina alla gente, meglio si è recepiti e lo stare più vicini al consumo ci ha già permesso in questi due anni di capire molte cose su gusto e attitudini al consumo».

Barilla apre dunque un nuovo percorso. E lo fa, come in passato, appunto quasi 70 anni fa, sperimentando in America. Nel 1950 Pietro Barilla, il padre di Guido, venne negli Stati Uniti per cercare le nuove frontiere del marketing e per compiere, nel difficile dopoguerra, il balzo da piccola azienda a grande gruppo industriale nazionale. Scopre tecniche nuove per il suo settore e torna con un'idea: adottare il contenitore di cartone con una finestrella di cellophane che consente di vedere da fuori il tipo di pasta. Fu la prima azienda alimentare in Italia a introdurre l'innovazione, cosa che posizionò l'azienda all'avanguardia rispetto alla concorrenza. Nel 1971, con l'America, c'è una dolorosa operazione di vendita. Pietro e il fratello Gianni non condividono lo stesso orizzonte strategio. Sono anni difficili, gli anni di piombo, gli anni della recessione e delle crisi petrolifere. Pietro non ha i mezzi per rilevare il 50% di Gianni e la decisione è inevitabile: si vende al colosso multinazionale americano W.R. Grace. Fin dal giorno dopo la firma per la vendita, Pietro decide che riprenderà l'azienda. Riesce a farlo nel 1979, con un obiettivo: penetrare meglio il mercato statunitese. Dopo aver studiato il marketing, mette nel cassetto un progetto per l'investimento diretto. Si realizzerà 20 anni dopo, nel 1999, quando Barilla apre il primo stabilimento produttivo ad Ames in Iowa; nel 2007 arriva il secondo ad Avon, nello stato di New York che serve la regione nordorientale dove si concentra il 50% di consumo di pasta. L'obiettivo era quello di coprire in modo più aggressivo il mercato della pasta in America, oggi al sesto posto mondiale con 9 Kg di consumo pro capite all'anno (in Italia consumiamo pro capite 26Kg, pensate al potenziale di mercato).

C'è da chiedersi se nell'attuale contesto competitivo globale un gruppo di successo, ma privato non rischi di essere vulnerabile agli attacchi di grandi gruppi globali o di avere limiti nelle prospettive di crescita. Se con i ristoranti si risponde alla sfida crescita, nel 2015, con l'inaugurazione del nuovo quartire generale americano a Chicago si chiude il cerchio della piattaforma produttiva/ distributiva per mantenere un primato: Oggi Barilla, con il 30% del mercato è il primo marchio per la pasta in America. E se pensiamo che il 50% dei consumi americani è nel Nord Est, secondo analisti interpellati da il Sole 24 Ore, il potenziale su base nazionale è importante. Le iniziative per crescere in ogni angolo d'America sono molteplici, dall'ingaggio come testimonial della campionessa di sci Mikaela Shiffrin, una ventenne medaglia d'oro nello slalom, al lancio di una campagna per incoraggiare la condivisione del pasto serale con “Barilla Pronto” un prodotto per famiglie. C'è infine il passaggio scientifico con ricerche di esperti americani (ma anche italiani e internazionali) come David Katz e Danielle Nierenberg su diete sostenibili e su processi alimentari compatibili con l'ambiente, pubblicate in Eating Planet, libro prodotto dalla Fondazione Barilla, Center for Food and Nutrition.
Il passaggio di Barilla per l'America ha dunque molte radici. E ovvio che si tratta di un passaggio propedeutico a un'espasione nel resto del mercato internazionale. Farsi i muscoli in questo paese sul piano produttivo e del marketing - o, come per i ristoranti, andare direttamente al cliente - significa creare i presupposti per applicare certi risultati a una piattaforma mondiale. E in quanto a possibili minacce in arrivo dai colossi globali dell'alimentare, Guido Barilla non si preoccupa: «Essere molto grandi non è l'ingrediente chiave, l'importante è essere particolarmente capaci nel mestiere che si fa. Non vogliamo essere tutto, siamo anche nei prodotti da forno ad esempio. Ma vogliamo restare i primi nel mondo nella produzione di pasta alimentare. Per i prossimi anni abbiamo un obiettivo: essere i più bravi nel fare una cosa. Tutto il mondo dovrà conoscere Barilla come la pasta migliore e la pasta più amata dalla gente» .

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