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Se i grandi tornano al Novecento

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DEFLAZIONE E CRESCITA

Se i grandi tornano al Novecento

Si dice che la storia non si ripeta, ma che il presente finisca spesso per far rima con il passato. I ministri finanziari del G-20 riuniti questo fine settimana a Shanghai dovrebbero tener conto di quello che succede in questi giorni in un piccolo paese estraneo al club dei grandi. Alzando i muri lungo i propri confini, l'Austria sta ricreando ragioni di conflitto tra gli Stati europei seppure per ragioni diverse da quelle di un secolo fa. Tra il '95 e oggi l'Austria è stato il paese in cui il reddito delle famiglie è cresciuto di meno rispetto al pil del paese. Il benessere individuale si è cioè distaccato dal sentire collettivo. Ragioni diverse dunque, ma stessa “rima” del passato: cent'anni dopo, c'è lo stesso senso di sfiducia negli stati e di declino relativo degli individui. La risposta politica al disagio economico è ancora una volta sconsiderata: rialzare i muri europei nel mezzo di un'emergenza umanitaria.
I governi del G-20 sanno che quello austriaco non è un caso isolato. Crisi economiche e tensioni geopolitiche si alimentano le une con le altre. In un gran numero di paesi, il declino della quota delle famiglie sul reddito totale sta suscitando risposte politiche xenofobe. Di esse fa parte anche la sintonia degli americani con l'aggressività di Donald Trump. Non c'è sempre un legame diretto con l'aumento della diseguaglianza, ma piuttosto con la distanza tra vincitori e perdenti della globalizzazione, che poi il linguaggio populista trasforma nel conflitto tra chi sta dentro e chi sta fuori dai confini. L'Ocse stima che da anni la produttività aumenti nelle sole imprese alla frontiera tecnologica e con carattere multinazionale, ma declini nelle altre.

Secondo Larry Summers, sia in Cina sia negli Stati Uniti sono già andati perduti decine di milioni di lavori poco qualificati, sostituiti dalla tecnologia. Così, i prezzi alla produzione aumentano meno dei prezzi al consumo (è ciò che distingue la deflazione cattiva da quella buona). Il reddito reale delle famiglie diminuisce e la domanda di consumi, e poi di investimenti, si spegne in un processo deflattivo. Ieri quattro paesi europei hanno diffuso dati preoccupanti sui prezzi al consumo. L'inflazione dell'euro-area sarebbe scesa a febbraio a -0,1-0,2% e non solo per effetto del calo del petrolio. Il calo dei prezzi si sta di nuovo manifestando in Giappone, nonostante i massicci interventi di stimolo monetario. I tassi d'interesse sono negativi ma quelli reali restano troppo alti per un'economia che rallenta. Le banche centrali assicurano che sono in grado di evitare che le aspettative di inflazione si avvitino, ma finora non ci stanno riuscendo. I tassi incorporano attese di inflazione globale inferiori all'1% per i prossimi dieci anni, con tassi reali attorno allo zero. Problemi economici e fattori geopolitici creano una forte avversione al rischio. Gli investimenti calano, proiettando ombre sul futuro in un circolo vizioso.

È un ambiente politico-economico completamente diverso da quello del Novecento. Nel dopoguerra si era convinti che gestendo la domanda in modo appropriato attorno al ciclo economico, le economie potessero avere bassa inflazione e bassa disoccupazione. Dopo la stagflazione degli anni '70 si è fatto riferimento a un tasso naturale di disoccupazione determinato da fattori di offerta, tra cui la flessibilità del mercato del lavoro. L'obiettivo centrale di policy era così un livello stabile di inflazione perseguito grazie all'autonomia delle banche centrali. Gli ultimi anni hanno eroso la fiducia nella capacità delle economie di riportarsi in equilibrio dopo una crisi. I danni provocati dagli ultimi shock anzi mostrano di incancrenirsi, creano un senso di declino che si scarica sugli attori economici più deboli, fino ad avere conseguenze politiche inedite. Per questa ragione, dopo una crisi globale, gli adeguamenti strutturali dovrebbero essere accompagnati da politiche monetarie e fiscali “non convenzionali”.

Fu così al summit del G-20 di aprile 2009, che riuscì a creare uno sforzo comune di espansione fiscale, di rafforzamento dei sistemi finanziari e di rinuncia al protezionismo. Da allora il coordinamento ha fatto passi indietro e le logiche del Novecento sono riemerse. Ieri i ministri del G-20 si sono divisi con argomenti che avrebbero usato quando per le strade di Shanghai circolavano solo biciclette e la Germania era divisa in due. Schäuble in particolare non vuole né coordinamento né stimolo fiscale. Le banche centrali rimarranno sole a spingere politiche non convenzionali che tendono ad annullarsi reciprocamente.

Dove possibile invece la politica monetaria deve essere sostenuta da politiche fiscali espansive e deve funzionare attraverso canali bancari risanati. Dal lato dell'offerta, sono necessarie riforme che alzino il reddito potenziale alimentando cioè aspettative di maggior benessere futuro. È questa promessa che, quando è credibile, crea consenso per le democrazie e desiderio di pace.

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