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Ma questa non è una guerra

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Scenari

Ma questa non è una guerra

Non è facile candidarsi alla guida di una missione internazionale di stabilizzazione come quella che si sta mettendo a punto per la Libia scegliendo come unico punto di riferimento la via politico-diplomatica e tenendo a freno tutte le fughe in avanti e le ambizioni dei nostri alleati sul piano strettamente militare. Per noi la guerra «non è ancora guerra».

Ma è proprio questo il sentiero stretto che Matteo Renzi ha scelto di percorrere in queste settimane sulla crisi libica trovando per una volta un consenso non scontato di due ex premier come Romano Prodi e Silvio Berlusconi. I margini concessi alla trattativa politica si vanno facendo, però, sempre più esigui e sempre più concreto è il rischio che la linea della prudenza possa trasformarsi in un pericoloso boomerang anche nei rapporti della politica interna.

Lunedì prossimo a Tobruk si giocherà l’ultima chance per un dibattito parlamentare che dia il via libera definitivo al governo di transizione presieduto da Fayez al-Sarraj, passaggio necessario per una richiesta di intervento internazionale sul suolo libico. Se anche quell’occasione andrà persa per le violenze e le intimidazioni di cui è stato teatro finora il Parlamento di Tobruk, l’inviato dell’Onu per la Libia, Martin Kobler ha già pronto un piano B: considerare come già espressa e formalizzata la volontà di quel Parlamento (unico riconosciuto dalla comunità internazionale) con le recenti firme di sostegno al Governo da parte di 101 parlamentari (ossia la maggioranza degli eletti). Si tratterà poi di creare quella cornice di sicurezza per insediare formalmente il Governo nella capitale Tripoli. Impresa tutt’altro che agevole e che richiede un’opera preventiva di accordi con le milizie che controllano quella parte di territorio, lavoro che, con tenacia e determinazione, sta compiendo il consigliere militare di Kobler, il generale italiano Paolo Serra. Un lavoro al quale non è estrano il compito delle forze speciali sul terreno, in primis degli americani ma anche degli inglesi e dei francesi. Senza violare in alcun modo il dettato costituzionale e le prerogative del Parlamento, l’Italia non poteva però, candidandosi alla guida della futura missione, essere completamente assente dalle operazioni “speciali” sul territorio libico. Nasce da questa esigenza di equilibrio tra forze alleate (più che da una smania di accentrare a Palazzo Chigi la catena di comando delle operazioni speciali all’estero) l’estensione ai militari dei corpi speciali italiani delle “garanzie funzionali” di cui godono gli agenti dei servizi segreti prevista nel decreto missioni nel novembre dello scorso le cui modalità operative sono state definite in un successivo Decreto del presidente del Consiglio dei ministri approvato il 10 febbraio dopo il via libera del Consiglio di Stato.

È convinzione di Renzi che la leadership italiana sulla Libia si possa esercitare ancora con «prudenza, serietà e affidabilità». D’accordo con il Quirinale Renzi ha invitato quindi tutti i membri del suo Governo a non assecondare troppo la “corsa mediatica” e a non farsi condizionare neppure dai tragici avvenimenti che hanno portato alla morte dei due tecnici della Bonatti rapiti nel luglio del 2015. Ma il tempo orami stringe e la prudenza di Renzi non può durare all’infinito.

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