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Se il G20 non cerca gli strumenti per la crescita

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dopo shangai

Se il G20 non cerca gli strumenti per la crescita

I ministri finanziari e i governatori delle banche centrali dei paesi del G20 riuniti a Shanghai hanno prodotto un documento deludente. Nelle nove pagine del comunicato finale si affermano obiettivi generici e considerazioni banali largamente condivise ma senza minimamente sfiorare l’adozione di strumenti utili per gli obiettivi proposti. Un esempio su tutti. Si contrasta l’uso della svalutazione monetaria competitiva e l’unico strumento proposto per dare sostanza a questo contrasto è la raccomandazione a quei paesi che volessero svalutare la propria moneta di comunicare per tempo la propria intenzione. Incredibile ma vero.

La fragilità della ripresa internazionale, le turbolenze finanziarie, l’orizzonte sempre più vicino di una guerra delle valute, il rallentamento delle economie emergenti, avrebbero dovuto imporre al G20 dei ministri finanziari di inserire nell’agenda per la riunione di settembre dei capi di Stato e di governo dei rispettivi paesi almeno due questioni prioritarie: a) una diversa disciplina dei mercati finanziari fatta di divieti e di agevolazioni per consentire alla grande liquidità internazionale di dirigersi verso l’economia reale mentre oggi viene spesso parcheggiata nel sistema bancario anche a tassi negativi in attesa di cogliere opportunità prevalentemente finanziarie. Da tempo la finanziarizzazione dell’economia internazionale sta sul banco degli imputati perché sottrae crescenti risorse al ciclo produttivo e da tempo la politica resta immobile dinanzi a questo fenomeno o per ignoranza o per complicità. Impedire ad esempio la diffusione dei prodotti finanziari attraverso il grande mercato retail del sistema degli sportelli bancari limitandone il trading solo tra gli investitori istituzionali prosciugherebbe o quantomeno ridurrebbe quell’acquitrino nel quale si producono profitti irragionevoli e si distruggono ingenti risparmi di famiglie e risorse di imprese. Il tutto naturalmente dovrebbe essere accompagnato da agevolazioni fiscali e normative sull’uso produttivo del capitale a fronte del suo uso finanziario che andrebbe, al contrario, fortemente penalizzato sul piano fiscale introducendo anche nel bilancio delle imprese la separazione dei due comparti, il produttivo ed il finanziario. La crescita ed il benessere delle popolazioni, infatti, sono sostenuti dalla diffusione di beni e servizi prodotti dall’industria e dal terziario avanzato e non certo dalla diffusione di prodotti finanziari che alimentano ricchezze elitarie e povertà di massa. Un tema, questo, delicato e sensibile per gli enormi interessi che tocca ma ineludibile per un mondo in affanno; b) un nuovo ordine monetario con cambi flessibili all’interno di una fluttuazione limitata e garantita dalle banche centrali dei 20 paesi che costituiscono oltre l’80% del Pil mondiale per evitare una incombente guerra delle valute e prevedendo l’uscita dal Wto (la organizzazione mondiale del commercio) per quei paesi che non dovessero aderirvi.

Al di fuori di queste due grandi questione la fragilità, l’incertezza, la bassa crescita e la deflazione non potranno mai essere abbattute mentre la loro dettagliata realizzazione rafforzerebbe una sana economia di mercato, una progressiva uscita dal sottosviluppo di ampie zone del pianeta, una più equa e sostenibile distribuzione di ricchezza.

Se la politica tarderà ancora a prendere coscienza dello stato dell’arte e dei rimedi possibili per raggiungere gli obiettivi declamati prima o poi ci penseranno i sommovimenti sociali nelle democrazie di tutto il mondo (e non solo in esse) con tutto il loro corredo di disastri che la storia ci insegna.

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