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Ma c’è un motivo se lo spread lo ignora

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il dibattito e le idee

Ma c’è un motivo se lo spread lo ignora

Ritorna di tanto in tanto l’argomento che la posizione finanziaria del paese è meno drammatica di quella che traspare dall’entità del suo debito pubblico.

La ragione sarebbe duplice. La prima, che in Italia a fronte di un debito pubblico molto elevato, soprattutto più elevato che in parecchi altri paesi europei, c’è una ricchezza privata in capo alle famiglie molto più elevata che in paesi a basso debito pubblico, come ad esempio la Germania. La seconda che le “passività implicite” – gli impegni netti futuri dello Stato nei confronti dei cittadini – ad esempio per l’erogazione di pensioni e di spese sanitarie sarebbero inferiori. Addirittura, scontandole a oggi (trasformandole quindi in uno stock) e sommandole allo stock di debito accumulato (o esplicito), l’Italia sarebbe uno dei paesi finanziariamente più solidi. Non c’è dubbio che l’Italia ha un debito pubblico più elevato della media europea (oltre 1,3 volte il Pil contro meno di 0,9 volte nella media dei paesi europei – Italia inclusa). E non c’è dubbio che le famiglie hanno una ricchezza (al netto dei debiti) più elevata: 5,5 volte il reddito disponibile secondo l’Ocse contro 4,5 volte in Germania, 5,1 in Francia , 4,3 in Austria e 3,4 in Finlandia. L’eccesso di ricchezza in Italia rispetto alla Germania sarebbe più che sufficiente per compensare l’altro eccesso – quello del debito pubblico dell’Italia rispetto alla Germania. Da qui l’idea che la sostenibilità finanziaria del paese è garantita da quella delle famiglie, una volta che si consolidano i due conti – sommando algebricamente i debiti pubblici alla ricchezza privata per arrivare a una posizione debitoria netta nazionale. A portare sul dibattito pubblico questa idea fu nel 2010 il Ministro Tremonti quando cercò di proporla all’Ecofin come metro di misura per valutare la “sostenibilità” e la “stabilità finanziaria” dell’Italia vis à vis gli altri paesi cercando di allontanare l’attenzione dal debito del settore pubblico. Non ebbe grande successo. Non sorprende. Mi sorprese invece che questo argomento fosse avanzato con disinvoltura e mi sorprende ancor di più che continui ad essere proposto.

Ovviamente le fonti di rischio e di fragilità finanziaria di un paese non si esauriscono con il rapporto debito pubblico Pil. Elevati livelli di debito privato, sia in capo alle famiglie che alle imprese, o anche alle banche, soprattutto dinamiche sostenute di questi indebitamenti possono essere motivo e causa di instabilità. Così è stato per l’indebitamento delle famiglie negli Stati Uniti nel decennio precedente la crisi; così è spesso prima di una crisi finanziaria, preceduta di norma da una forte accumulazione di debito, o privato o pubblico o di entrambi. E non si esaurisce neppure con questi indicatori espliciti: contano anche passività implicite generate da una dinamica demografica negativa o da una stagnazione della produttività che può minacciare la sostenibilità del sistema pensionistico. E c’è anche del vero che famiglie finanziariamente solide sono un buffer per il debito pubblico. Ma fino a quanto? Possiamo sommare senza remore ricchezza privata e debito pubblico e sostenere che poiché questo numero – la ricchezza nazionale netta in rapporto al Pil – è più elevato in Italia che in Germania, l’Italia, finanziariamente parlando è più solida della Germania? Possiamo sommare sempre senza remore stock di debito accumulato e passività implicite e giungere alla stessa conclusione? La risposta è nello spread tra il decennale italiano e il bund tedesco ed è chiaramente no. Coloro che investono nel nostro debito pubblico vogliono un premio per il rischio rispetto a coloro che sottoscrivono debito dello Stato tedesco. E lo chiedono non perché non sappiano fare le somme (le sanno fare molto bene) o ignorino che in Italia è stata fatta una riforma del sistema pensionistico che altri paesi faticano a varare. Lo chiedono perché il debito del nostro Stato è percepito meno sicuro: chi ci investe annette una probabilità più elevata che lo Stato italiano possa incontrare difficoltà a ripagare il debito più di quanto non possa lo Stato tedesco. Malgrado la ricchezza delle famiglie italiane, malgrado la riforma delle pensioni. La prima è si un potenziale buffer per il debito pubblico, ma tra l’esserlo potenzialmente e l’esserlo effettivamente c’è di mezzo un ostacolo: lo Stato dovrebbe tassare quella ricchezza e farlo dovrebbe essere indolore. Se la ricchezza privata è, poniamo, 4 volte il Pil, e dovesse rendersi necessario per stabilizzare i mercati ridurre il debito pubblico del 20%, ciò richiederebbe un prelievo del 5% sulla ricchezza. Le piazze si rivoltano per molto meno. E i mercati lo sanno.

Riguardo alle passività implicite, sommarle al debito accumulato va bene per ottenere un indicatore “sintetico”, come quello proposto dall’istituto tedesco Stiftung-Marktwirschaft. Ma l’indicatore va utilizzato con giudizio. Per sommare veramente - cioè trattare come equivalenti - passività sicuramente accumulate (come il 132% di stock debito pubblico) con il valore a oggi di squilibri fiscali che si manifesteranno nei decenni futuri bisogna credere davvero che non si stanno sommando pere con mele. E questo dipende da quanto uno crede alle ipotesi sottostanti alla stima del “debito implicito” (costanza della legislazione corrente, proiezioni demografiche etc.) e ancor più alle ipotesi sul tasso di crescita dell’economia e sul tasso di sconto usato per attualizzare quei flussi. Non è difficile mostrare che piccole alterazioni di queste variabili producono effetti notevoli sullo stock di passività implicite. Questo è l’altro motivo perché le nostre virtù sulle passività implicite non sembrano intaccare lo spread.

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