Le recenti revisioni al ribasso delle previsioni di crescita dell’economia mondiale rendono esplicito un quadro complessivo problematico e gravido di incertezza. Oltre alle difficoltà della Cina e dei Paesi emergenti, è evidente che l’Europa è ben lontana dall’aver risolto i suoi problemi economici: stagnazione, deflazione, disoccupazione, eccesso di debito…., per non parlare delle difficoltà politiche, dalla Brexit alla crisi dei migranti, che contribuiscono a rendere ancora più precarie le prospettive economiche.
Il Qe non ha avuto il successo sperato. Del resto fin dall’inizio era evidente che esso avrebbe contribuito alla discesa dei tassi di interesse, alla svalutazione dell’euro e ai profitti delle banche, ma ben poco alla crescita. Il fatto è che il Qe europeo nasce condizionato dai limiti previsti alla attività della banca centrale europea, senza condivisione dei rischi che vengono accuratamente decentrati, e con acquisti limitati ai titoli pubblici. Esso si è quindi concretizzato nell'acquisto di titoli di Stato sul mercato secondario, in misura strettamente proporzionale alla partecipazione dei vari Stati al capitale della Bce, e quindi è risultato poco efficace anche ai fini della riduzione degli spreads.
Così facendo si riducevano i tassi di interesse e aumentava il prezzo dei titoli spesso ben al di sopra del valore nominale, soprattutto (nel caso dell’Italia) per i titoli emessi nel 2011-12. In conseguenza le banche commerciali si sono impegnate in una intensa compravendita dei titoli nazionali realizzando cospicui guadagni di capitale con la cessione finale alla Banca Centrale nazionale. Ciò significa che le banche beneficiano di fatto di un sussidio per questa loro attività di trading, senza avere nessun reale incentivo ad aumentare il credito all'economia. Inoltre, diversamente che in altri Paesi il Qe europeo non ha aiutato le banche a liberarsi degli oneri derivanti dalle sofferenze mediante l'acquisto di Abs.
Questi limiti strutturali del Qe sono difficilmente superabili. Negli altri Paesi, (US, UK, Giappone), invece, il QE funzionava in modo del tutto diverso in quanto la Banca Centrale sottoscriveva, sia pure indirettamente, i titoli pubblici al valore nominale al momento dell’emissione, contribuendo così al finanziamento monetario del disavanzo pubblico, e quindi della domanda. Per quanto non si tratti di una monetizzazione piena, finchè continua il roll-over dei titoli pubblici da parte della Banca centrale, gli effetti sono identici. In questo modo quote rilevanti del debito pubblico sono state monetizzate e quindi di fatto potenzialmente cancellate (oggi la Fed possiede circa il 23% del debito pubblico americano che quindi è di fatto più basso di questa percentuale rispetto a quanto appare, la BoJ ne possiede il 24%, e la BoE quasi il 30%, mentre la Bce ne possiede poco più del 5%).
In altre parole, negli altri Paesi i governi nazionali e le banche centrali hanno seguito una politica Keynesiana con buoni risultati sull’economia reale (con l’eccezione del Giappone che rappresenta un caso a sé), senza che per questo si venissero a creare pressioni inflazionistiche, come è peraltro ovvio, e ben noto, in presenza di condizioni di potenziale deflazione e depressione. L’Europa, invece, paralizzata dai suoi tabù, non è in grado di perseguire politiche altrettanto efficaci. In sostanza non si riconosce il fatto che nella situazione che si è creata dopo la grande crisi del 2007-08 il pericolo non è l’inflazione bensì la deflazione e la stagnazione, e che quindi la separazione netta della politica fiscale e di quella monetaria è controproducente e autolesionistica, così come è privo di senso economico insistere sul rifiuto di ogni condivisione dei rischi all’interno della zono euro. I danni che l’ortodossia tedesca ha inflitto all’economia europea, a quella mondiale, e alla stessa Germania, sono enormi.
Quello che nella situazione attuale sarebbe invece necessario è un finanziamento diretto monetario di programmi di spesa pubblica o di riduzione di imposta da parte delle Bce, che è stato in passato un comune e diffuso strumento di policy in tutte le economie industrializzate. Si tratta di quello che gli economisti hanno definito helicopter money. Questi programmi dovrebbero continuare fino a quando l'inflazione core non fosse tornata al livello fisiologico del 2%. Anche se i trattati istitutivi della Bcenon lo consentono, si potrebbe in realtà aggirare l’ostacolo adottando una recente proposta di un economista tedesco, Andrew Watt che propone che la Bei emetta obbligazioni che la Bce dovrebbe acquistare sul mercato secondario al fine di finanziare programmi di spesa pubblica dei singoli Paesi, rendendo tra l’altro operativo il piano Juncker, e sostenendo senza costi per i bilanci pubblici, il rilancio della domanda nella zono euro. In altre parole il buon senso dovrebbe prevalere sulla ideologia. È difficile purtroppo che ciò possa accadere.
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