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L’arsenale di Draghi e i ritardi dei governi

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CREDITO E SVILUPPO

L’arsenale di Draghi e i ritardi dei governi

Sintesi Visiva
Sintesi Visiva

Mario Draghi ha respinto ieri vigorosamente l'idea che le banche centrali siano passate dall'onnipotenza all'impotenza, dispiegando un arsenale di misure di stimolo ben più pesante delle attese. Ha persino varato una misura senza precedenti per stimolare il credito, l'ingrediente che manca alla ripresa dell'eurozona: la Banca centrale europea è disposta a pagare le banche perché prendano la sua liquidità e la utilizzino per fare prestiti alle imprese e alle famiglie.

Ha ripetuto Draghi quasi per inciso: «Non molliamo», e sostenuto che la Bce ha la volontà e le «munizioni», come dimostrano le decisioni di ieri. E che le sue azioni sono efficaci. La controprova? Se avessimo detto “nein zu allem”, no a tutto, saremmo in una deflazione disastrosa. Ogni riferimento ai suoi critici tedeschi (la cui posizione in consiglio si è stemperata, anche se, fuori, le reazioni in Germania sono state virulente) è puramente voluto. Dopo il fiasco di dicembre, quando si erano create aspettative eccessive, poi deluse, stavolta le carte erano state tenute coperte. Tanto che fino all'annuncio da Francoforte, non c'erano due economisti indipendenti che avessero pronosticato le stesse misure. E nessuno aveva azzeccato quello che poi è arrivato. Anche la pubblicazione è stata organizzata per il massimo impatto. Alle 13,45 all'interfono della sala stampa (e contemporaneamente su internet) è stato scandito non solo il taglio dei tassi, come avviene abitualmente, ma l'intero pacchetto di sei provvedimenti, comprese le sorprese dell'ampliamento del Qe oltre i limiti attesi e includendo le obbligazioni societarie, e le nuove operazioni di rifinanziamento alle banche, battezzate Tltro2, uno strumento che la Bce spera sia finalmente decisivo per sbloccare il credito.

Le ripercussioni positive sui mercati a un pacchetto giudicato molto aggressivo e che sommava tutti gli interventi che erano stati ipotizzati alla vigilia sono state immediate, nella direzione sperata. Si sa che la politica monetaria è tanto più efficace, quanto può far fare agli altri, cioè ai mercati, una parte del lavoro. In conferenza stampa, però, dopo aver prolungato la “forward guidance” sui tassi, indicando che questi resteranno bassi anche ben dopo che la Bce avrà chiuso gli acquisti di titoli del Qe (formalmente a marzo 2017, ma ancora più a lungo, se sarà necessario), Draghi ha fatto una parziale marcia indietro, che ha prodotto un contraccolpo di mercato. Non prevediamo, ha detto, che sia necessario tagliare ulteriormente i tassi d'interesse. A patto naturalmente che non intervengano fatti nuovi. Potrebbe sembrare un'osservazione lapalissiana, se non che ha introdotto improvvisamente un pavimento sotto i tassi d'interesse che nessuno a quel punto si aspettava. L'inversione dei mercati di ieri può essere trattata come la reazione di un giorno ed è sempre sbagliato giudicare la validità delle decisioni di politica monetaria sulla base dell'andamento immediato dei mercati. Però l'episodio di ieri segue quello di dicembre e certamente ha attutito la deflagrazione positiva delle munizioni impiegate in abbondanza ieri. Sarebbe un problema per Draghi se non potesse più contare, al suo fianco, su quello che finora è stato uno dei suoi migliori alleati, i mercati finanziari. È possibile che il presidente della Bce sia stato indotto a questa scelta dalla volontà di ammorbidire la reazione delle banche al nuovo taglio dei tassi d'interesse, che era stato preventivamente contestato, soprattutto in Germania. Ma le banche sono già state compensate dalla creazione delle nuove Tltro2, che consentono loro addirittura di essere pagate per ricevere nuova liquidità dalla Bce. Di fatto, si è creato un nuovo ostacolo, del quale la banca centrale poteva fare a meno. Anche perché continua a restare isolata nei suoi tentativi di rilanciare l'eurozona: sulle riforme strutturali i progressi sono limitati e la politica fiscale è solo modestamente espansiva. Ci vorrebbe ben altro per sollevare la Bce di Draghi da un peso che porta da sola e che, come si è visto ieri, non lascia spazio a margine di errore.

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