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Quel mezzo miliardo smarrito tra Ici e Imu

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tagli «di troppo» ai comuni

Quel mezzo miliardo smarrito tra Ici e Imu

Al ministero dell’Economia c’è un’altra gatta da pelare e può valere fino a 500 milioni di euro. Non tutti in un anno, ma più delle cifre in gioco è la storia a raccontare molto della finanza pubblica: che ai non addetti ai lavori può sembrare una scienza esatta, tutta numeri e tabelle, ma qualche volta si trasforma in una giungla, dove ovviamente vince il più forte. La differenza con la giungla è che, nei conti pubblici, ci sono anche poteri esterni, che rimettono ordine. La storia inizia nel 2012, anno dell’Imu e del governo dei professori.

L’Imu, come sanno bene i contribuenti, ha moltiplicato il valore fiscale degli immobili, con l’obiettivo però di sostenere i conti dello Stato e non quelli dei Comuni. Per far diventare statale di fatto un’imposta «municipale» di nome, il governo guidato da Mario Monti pensò a un meccanismo semplice: i soldi in più prodotti dall’Imu rispetto all’Ici si sarebbero tradotti in tagli equivalenti ai fondi comunali. In parole povere, se ad aliquota standard un Comune incassava 100 di Ici e 150 di Imu, si vedeva tagliare di 50 i propri fondi. Con questo sistema lo Stato ha recuperato due miliardi all’anno, oltre ai nove prodotti dalla «quota erariale» che ha girato direttamente all’erario una fetta dell’Imu.

Tutto l’impianto, e qui arriva il problema, era basato su stime: quelle del gettito Imu 2012, che naturalmente all’epoca doveva ancora arrivare, ma anche quelle dell’Ici 2010, che invece era già finita da tempo nelle casse dei Comuni e andava “contata” più che “stimata”. La giostra ha girato più volte e ha cambiato i numeri fino a ottobre, quando a sorpresa il gettito Ici diminuì di oltre il 10% in 450 Comuni e di oltre il 20% in altri 200. Un fenomeno curioso, per un’imposta pagata due anni prima, ma utile allo Stato: più alta è la differenza tra Ici e Imu, maggiore diventa la somma indirizzata al bilancio centrale. A novembre il Consiglio di Stato, su ricorso dell’Anci, ha bocciato tutto il meccanismo delle stime con una sentenza (la 5008/2015) che è stata messa nel silenziatore durante il cantiere della legge di Stabilità, ma che ora è finita sui tavoli del ministero per sciogliere la matassa delle compensazioni. Nella gerarchia darwiniana che caratterizza questi episodi di finanza pubblica, lo Stato prova a essere più forte dei Comuni, ma c’è un altro soggetto, che occupa uno scalino ancora più basso: il contribuente. A ottobre, quando si sono visti “tagliare” la vecchia Ici, i Comuni potevano ancora alzare le aliquote grazie alle solite proroghe alle scadenze dei bilanci preventivi. Qualcuno l’avrà fatto, ma a compensare chi ha pagato di più non pensa nessuno.

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