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L'ipocrisia di Ue e Turchia

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ANALISI

L'ipocrisia di Ue e Turchia

Tollerare la chiusura dei giornali e la censura? Non dire una parola sulla repressione dei curdi, e usare solo parole di circostanza di fronte ad attentati spaventosi? È esattamente quello che sta accadendo ma paghiamo la Turchia perché si tenga i profughi, venga dilaniata all'interno e resti fuori dall'Europa il più a lungo possibile, esattamente quello che chiedono i partiti xenofobi in ascesa in Germania e altrove. È questa l'ipocrisia di fondo nel negoziato sui migranti che riprende il 17 marzo.

Ma soltanto la consueta faciloneria degli europei può indurre a pensare che la Turchia sia la soluzione e non il problema. Ankara fa parte del problema mediorientale e dopo l'intervento della Russia a fianco di Assad è un Paese sul piede di guerra, ipersensibile a quanto accade alle frontiere, avviluppata dall'incubo che possa costituirsi uno stato o una regione autonoma curda. Si tratta di in conflitto feroce che Erdogan ha aperto la scorsa estate quando si è accorto che l'Isis, alimentato dall'afflusso dei jihadisti dalla Turchia, non avrebbe abbattuto Assad mentre i curdi siriani stavano avanzando.

In questa guerra non si risparmiano i colpi: le truppe governative colpiscono la popolazione civile dell'Anatolia, il partito curdo Hdp, che poteva rappresentare una svolta, è finito ai margini, mentre il Pkk e altre organizzazioni curde rispondono con il terrorismo e la guerriglia. Non solo l'Europa non ha mai nulla da dire, come se la questione curda non la riguardasse, ma è sempre più chiaro che la Siria, già campo di battaglia di una guerra tra sciiti e sunniti, è anche una crisi turco-siriana e forse lo sarà sempre di più.

In poche parole la Turchia è in guerra su due fronti. A Bruxelles vanno a trattare un cancelliere sconfitto alle elezioni regionali e una Turchia trascinata dal suo leader in un conflitto interno ed esterno. In apparenza il più debole in questo momento sembra il cancelliere Angela Merkel. Ma anche Erdogan non è poi così forte. La Turchia dell'Akp ha accettato i migranti siriani per tre ragioni. Per strumentalizzarli come giustificazione a un attacco in Siria. Per creare una fascia di sicurezza a sostegno dei jihadisti e puntare verso Aleppo. Questi motivi sono caduti: la presenza della Russia, alleata con i curdi siriani, costringe Erdogan sulla difensiva. Rimane in piedi il terzo: usare i migranti come minaccia verso l'Unione Europea e mercanteggiare vantaggi economici e politici.

La Merkel è stata sconfitta in elezioni locali ma Erdogan ha perso la guerra contro Assad e ha visto svanire le sue mire espansioniste. Dentro casa, sostenuto da una maggioranza conservatrice, fa il Sultano, fuori però è dimezzato. Se l'Unione si presenta divisa Erdogan può sbattere sul tavolo le pretese più assurde ma se la Ue ha un progetto comune dovrà ridurre le pretese. Oggi si parla di concessioni ad Ankara, magari domani di sanzioni. Tutto dipende da cosa vogliamo fare noi europei in base i nostri principi e alla presa d'atto delle realtà migratorie e dei conflitti in corso: la Turchia, per molti versi, è già la nuova frontiera dell'Europa.

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