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Il Piccolo Teatro ottiene l’autonomia

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cultura e business

Il Piccolo Teatro ottiene l’autonomia

Solo una coincidenza, certo. Eppure il fatto che l’autonomia di gestione riconosciuta al Piccolo Teatro di Milano da parte del ministero per i Beni culturali sia entrata in Gazzetta Ufficiale il 7 marzo scorso - e sia operativa dall’8 marzo - sembra quasi un omaggio postumo a Luca Ronconi, scomparso un anno fa. Proprio l’8 marzo il grande regista, per 17 anni direttore artistico del Piccolo Teatro di Milano, avrebbe compiuto 82 anni.

Primo “Stabile” italiano nel 1947, e primo “Teatro d’Europa” italiano nel 1991, oggi il Piccolo è il primo teatro nazionale a ottenere l’autonomia, che riconosce di fatto quella funzione artistica e istituzionale, che ne ha animato l’attività sin dalla nascita, come spiega il direttore Sergio Escobar, da 18 anni alla guida del teatro e da altrettanto tempo impegnato in questa battaglia che definisce «di libertà e responsabilità».

Nella pratica, l’autonomia si traduce nell’eliminazione di alcuni vincoli burocratici e in un aumento degli stanziamenti statali, proprio per assicurare alla Fondazione lo svolgimento delle sue funzioni, considerata la «particolare qualifica riconosciuta al teatro» e «le conseguenti funzioni svolte», come si legge nel decreto. Il contributo sarà non inferiore al 6,5% della quota Fus (Fondo unico per lo spettacolo) destinata alle attività teatrali, ovvero (compresi altri contributi statali) 4,3 milioni di euro complessivi per il 2016, contro i 3,2 dello scorso anno. Ma per il teatro fondato da Giorgio Strehler, Paolo Grassi e Nina Vinchi quasi 70 anni fa questo riconoscimento significa molto di più, sottolinea Escobar: «È un passaggio storico, per il Piccolo e per tutto il sistema teatrale italiano. Perché riconosce le peculiarità dei teatri, e le peculiarità sono fondamentali per questo settore».

Proprio nelle settimane in cui riceve l’autonomia, il teatro ha in programma – per quasi due mesi - «Questa sera si recita a soggetto» di Pirandello, tutto esaurito. E il regista Damiano Michieletto sta provando l’«Opera da tre soldi» di Brecht, anch’essa in cartellone per due mesi, a partire dal 19 aprile. Come Lehman Trilogy, replicata 120 volte lo scorso anno, sempre sold out e con una percentuale di giovani superiore alla media degli altri spettacoli. «Questa è la nostra idea di responsabilità – chiarisce Escobar -: dare continuità e stabilità alle produzioni, con livelli pari ai teatri di repertorio tedeschi, ma con uno sforzo ben superiore, dato che si tratta spesso di nuovi allestimenti». Realizzare e tenere in scena per periodi lunghi spettacoli complessi richiede infatti un grande investimento di energie, persone e risorse, ma crea anche occasioni di inserimento dei giovani nel mondo del teatro e rafforza il rapporto di fiducia con i cittadini, ben oltre, spiega Escobar, le politiche di sconti o offerte su biglietti e abbonamenti.

Ma la peculiarità del Piccolo è anche nello stretto intreccio tra la sua storia artistica e quella istituzionale, tra l’idea creativa e la necessità di dare a questa idea una forma giuridica riconosciuta, come ha sempre sostenuto Paolo Grassi. Un intreccio che è presente sin dall’atto costitutivo del Piccolo, nel 1947, come libera associazione (si veda l’articolo a destra) e di cui l’autonomia non è che l’ultimo tassello in ordine di tempo. In mezzo, ci sono passaggi fondamentali come la trasformazione in ente pubblico (1958) e il riconoscimento come Teatro d’Europa (1991 e 2014).

Non un privilegio dunque, precisa Escobar, «ma una norma che riconosce e si allinea alla realtà e ci consente di esercitare le nostre scelte artistiche e la nostra responsabilità per fare quello che abbiamo sempre fatto: creare un rapporto di fiducia, solido e continuativo, con il pubblico, formare e avvicinare i giovani al teatro, creare aggregazione nella comunità dei cittadini».

Un impegno che si riflette nei numeri: gli abbonati sono aumentati dai 22.600 della stagione 2013/2014 ai 25.440 della stagione in corso (dati al 10 marzo, +6,5% rispetto all’anno prima), con una percentuale di under 26 pari al 35%: oltre 9mila, in aumento dell’11% rispetto al 2014. Molti i giovani (oltre il 47%) anche tra gli spettatori nel loro complesso, in tutto quasi 300mila persone le scorsa stagione. Segno di un teatro radicato nel suo territorio, come testimonia anche il rapporto stretto e costruttivo con le istituzioni locali, assicura Escobar, anche in un momento di difficoltà come quello attuale. «Non voglio aprire lo sportello reclami – scherza il direttore – ma quest’anno si presentano incognite sul bilancio, perché la Provincia, storico socio fondatore del Teatro, non esiste più e le deleghe alla cultura non sono state riassegnate, perciò mancano all’appello i 450mila euro della sua quota». Ai quali vanno aggiunti 400mila euro circa in meno da parte della Camera di Commercio, socio sostenitore che in passato ha garantito 950mila euro ogni anno, ma quest’anno ne darà appunto solo 550mila.

Comune e Regione (rispettivamente impegnati con circa 4,5 milioni e 1,5 milioni ogni anno) sono al lavoro per cercare una soluzione per far quadrare anche quest’anno il budget, che nel 2014 (ultimo consuntivo disponibile) era di circa 19 milioni (cifra stabile nel 2015), leggermente inferiore alla media degli ultimi anni, attorno ai 20-21 milioni. Certo, il teatro potrà contare sui maggiori introiti statali derivanti dall’autonomia ma, fa notare Escobar, il contributo del governo è andato riducendosi negli anni, scendendo dai quasi 4,8 milioni del 2002 ai 3,1-3,2 degli ultimi anni.

I sostenitori privati non mancano: sponsor e associazioni private portano al teatro oltre 600mila euro l’anno e altri 300mila sono quelli in arrivo dall’Albo degli Amici del Piccolo. Risorse che, sommate ai ricavi da biglietteria e altre attività, portano l’autofinanziamento del teatro attorno al 50%, una delle percentuali più alte in Europa.

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